Quando lo sport non è più "solo" sport
Credo che mai come oggi si possa considerare l'attività sportiva, svolta a livello agonistico e con rilevanza nazionale, una sorta di "specchio deforme e deformante" della nostra paradossale società del finto e luccicante benessere.
Miliardi di euro per comprare questo o quel giocatore, interessi enormi legati a sponsor e vendita dei diritti televisivi, persone che cambiano d'umore (fino a fare o a farsi del male) a seconda di dove finisce un pallone, "tifosi" che vanno allo stadio con bandiere e spranghe, offerte di pacchetti televisvi per gustarsi partite 24 ore su 24, bilanci societari in rosso, scommesse in nero, arbitri e partite "controllate" o "vendute", decine e decine di trasmissioni televisive e radiofoniche costruite sull'improvvisa e improvvida gastrite di quel giocatore o sull'effetto negativo che la nuova bomba-sexy ha avuto sul capocannoniere....
Prendendo in considerazione gli sport più popolari, ovvero quelli maggiormente praticati come (a puro titolo esemplificativo) calcio, basket e pallavolo, vorrei soffermare l'attenzione non tanto sulla singola prestazione di quella squadra o di quel giocatore, come forse avrete già intuito, ma sul giro d'affari che si nasconde dietro a quello che, forse, dovrebbe essere definito in modo diverso nei nostri vocabolari della lingua italiana (sport = attività fisiche praticate singolarmente o in gruppo per divertimento o per migliorare la condizione fisica del corpo).
Riflettiamo, dunque, su due casi recentissimi del calcio marchigiano, che possono essere considerati emblematici ed esemplificativi della realtà malata dello sport agonistico nazionale: l'Ancona, esclusa dalla serie B (in "buona compagnia", come si legge qui: http://www.nuovasocieta.it/sport/6814-calcio-addio-ad-ancona-e-20-club-di-lega-pro.html ), e il Fossombrone, che probabilmente dovrà dire addio alla serie D conquistata anche grazie all'investimento di Mr. Bikkembergs (finito nel mirino della Guardia di Finanza e pronto a lasciare l'Italia, Fossombrone Calcio in primis: http://www.corriereadriatico.it/articolo.php?id=111114 ).
Si tratta di un sistema oramai incancrenito che poggia su gambe (leggasi finanziatori) decisamente traballanti: si allestisce una squadra competitiva grazie al budget a disposizione, e con una buona dose di marketing e battage promo-pubblicitario si avvia la stagione abbindolando tifosi e non.
Quando il finanziatore per qualsiasi motivo se ne va, quella società rischia di scomparire da un giorno all'altro e i tifosi si ritrovano senza stadio o palazzetto domenicale.
In un periodo di crisi economica planetaria, dovuto essenzialmente al consumismo e alla vorticosa crescita di un'economia capitalistica autodistruttiva, il calcio e gli altri sport che vanno per la maggiore non possono essere da meno: gli ingaggi aumentano di anno in anno, i bilanci societari si gonfiano pur di restare a galla, i proprietari dei mass-media fanno a gara per aggiudicarsi questo o quell'evento con una sorta di asta al rialzo. Un circolo vizioso che macina e frantuma chi non riesce a seguire il ritmo sempre più vorticoso e parossistico. E addirittura conivolge anche gli indici delle borse di tutto il mondo, essendo i principali team quotati nei listini borsistici. Perde la formazione di Tizio Caio e mi ritrovo con migliaia di euro in meno nei miei fondi di investimento....
Ci rendiamo conto a che livello paradossale siamo arrivati? Non pensate sia il caso di farsi sentire per mettere un freno a tutto questo e tornare a livello di decenza umana?
Infine, lasciatemelo dire ora, a bocce (anzi, palloni) fermi: pur con tutta la simpatia che ho per alcuni "campioni" della nazionale italiana di calcio, non sono riuscito a guardare nemmeno un secondo di partita dei mondiali appena conclusi. Ma non perchè io ce l'abbia a morte con qualcuno in particolare, nè perchè non ho la TV in casa (bastava affacciarsi in un bar qualsiasi, anche nel paese montano più sperduto, per trovare una televisione sintonizzata sui mondiali).
No, il motivo va ricercato nell'assurdità del mondo pallonaro (lo stesso dicasi, con numeri certamente inferiori, per gli altri sport già citati), sostenuto da milioni di spettatori pecoroni che gioiscono per un gol e si arrabbiano a morte per un rigore non dato e, nel frattempo, vengono infinocchiati (passatemi il termine poco orticolo) da sponsor, pubblicità & super-offerte che non fanno altro che cortocircuitare questo perverso sistema.
Ora, come si può gioire e festeggiare nel guardare un giocatore - per quanto bravo, buono e bello - con stipendio annuale milionario, imboccato dal cuoco della nazionale, massaggiato dal fisioterapista della nazionale, in ritiro nel centro sportivo della nazionale, riverito e servito nell'albergo pagato dalla nazionale.... quando ogni giorno ci sono persone che perdono il posto di lavoro, persone che muoiono letteralmente di fame sotto ai nostri occhi, persone che hanno un aspettativa di vita più bassa di quella registrata nel medioevo...
Io, mi dispiace, non riesco più a guardare questi personaggi. Ma non è colpa loro. La colpa è nostra, che continuiamo a sostenere questo perverso meccanismo che campa sulla nostra fiducia di telespettatori-consumatori-pecoroni. Se non avessero più il nostro sostegno, perchè finalmente indignati non nei confronti della nobiltà dello sport (che amiamo), ma verso questo vergognoso sistema che genera mostri e debiti all'infinito (o quasi).
Sono convinto che lo sport praticato a livello agonistico debbe comunque garantire, a chi lo pratica sacrificando tempo e affetti, uno stipendio dignitoso. Quanto quello di un operaio o di un impiegato.
E non mi venite a raccontare che guardare lo sport preferito in televisione, e magari veder vincere la propria squadra, è come sognare. Sognare cosa? Un futuro senza presente, forse?
Boicottiamo questo che non è più, da un pezzo, "lo sport". E se non vogliamo farlo per noi, facciamolo per chi verrà dopo di noi.
Miliardi di euro per comprare questo o quel giocatore, interessi enormi legati a sponsor e vendita dei diritti televisivi, persone che cambiano d'umore (fino a fare o a farsi del male) a seconda di dove finisce un pallone, "tifosi" che vanno allo stadio con bandiere e spranghe, offerte di pacchetti televisvi per gustarsi partite 24 ore su 24, bilanci societari in rosso, scommesse in nero, arbitri e partite "controllate" o "vendute", decine e decine di trasmissioni televisive e radiofoniche costruite sull'improvvisa e improvvida gastrite di quel giocatore o sull'effetto negativo che la nuova bomba-sexy ha avuto sul capocannoniere....
Prendendo in considerazione gli sport più popolari, ovvero quelli maggiormente praticati come (a puro titolo esemplificativo) calcio, basket e pallavolo, vorrei soffermare l'attenzione non tanto sulla singola prestazione di quella squadra o di quel giocatore, come forse avrete già intuito, ma sul giro d'affari che si nasconde dietro a quello che, forse, dovrebbe essere definito in modo diverso nei nostri vocabolari della lingua italiana (sport = attività fisiche praticate singolarmente o in gruppo per divertimento o per migliorare la condizione fisica del corpo).
Riflettiamo, dunque, su due casi recentissimi del calcio marchigiano, che possono essere considerati emblematici ed esemplificativi della realtà malata dello sport agonistico nazionale: l'Ancona, esclusa dalla serie B (in "buona compagnia", come si legge qui: http://www.nuovasocieta.it/sport/6814-calcio-addio-ad-ancona-e-20-club-di-lega-pro.html ), e il Fossombrone, che probabilmente dovrà dire addio alla serie D conquistata anche grazie all'investimento di Mr. Bikkembergs (finito nel mirino della Guardia di Finanza e pronto a lasciare l'Italia, Fossombrone Calcio in primis: http://www.corriereadriatico.it/articolo.php?id=111114 ).
Si tratta di un sistema oramai incancrenito che poggia su gambe (leggasi finanziatori) decisamente traballanti: si allestisce una squadra competitiva grazie al budget a disposizione, e con una buona dose di marketing e battage promo-pubblicitario si avvia la stagione abbindolando tifosi e non.
Quando il finanziatore per qualsiasi motivo se ne va, quella società rischia di scomparire da un giorno all'altro e i tifosi si ritrovano senza stadio o palazzetto domenicale.
In un periodo di crisi economica planetaria, dovuto essenzialmente al consumismo e alla vorticosa crescita di un'economia capitalistica autodistruttiva, il calcio e gli altri sport che vanno per la maggiore non possono essere da meno: gli ingaggi aumentano di anno in anno, i bilanci societari si gonfiano pur di restare a galla, i proprietari dei mass-media fanno a gara per aggiudicarsi questo o quell'evento con una sorta di asta al rialzo. Un circolo vizioso che macina e frantuma chi non riesce a seguire il ritmo sempre più vorticoso e parossistico. E addirittura conivolge anche gli indici delle borse di tutto il mondo, essendo i principali team quotati nei listini borsistici. Perde la formazione di Tizio Caio e mi ritrovo con migliaia di euro in meno nei miei fondi di investimento....
Ci rendiamo conto a che livello paradossale siamo arrivati? Non pensate sia il caso di farsi sentire per mettere un freno a tutto questo e tornare a livello di decenza umana?
Infine, lasciatemelo dire ora, a bocce (anzi, palloni) fermi: pur con tutta la simpatia che ho per alcuni "campioni" della nazionale italiana di calcio, non sono riuscito a guardare nemmeno un secondo di partita dei mondiali appena conclusi. Ma non perchè io ce l'abbia a morte con qualcuno in particolare, nè perchè non ho la TV in casa (bastava affacciarsi in un bar qualsiasi, anche nel paese montano più sperduto, per trovare una televisione sintonizzata sui mondiali).
No, il motivo va ricercato nell'assurdità del mondo pallonaro (lo stesso dicasi, con numeri certamente inferiori, per gli altri sport già citati), sostenuto da milioni di spettatori pecoroni che gioiscono per un gol e si arrabbiano a morte per un rigore non dato e, nel frattempo, vengono infinocchiati (passatemi il termine poco orticolo) da sponsor, pubblicità & super-offerte che non fanno altro che cortocircuitare questo perverso sistema.
Ora, come si può gioire e festeggiare nel guardare un giocatore - per quanto bravo, buono e bello - con stipendio annuale milionario, imboccato dal cuoco della nazionale, massaggiato dal fisioterapista della nazionale, in ritiro nel centro sportivo della nazionale, riverito e servito nell'albergo pagato dalla nazionale.... quando ogni giorno ci sono persone che perdono il posto di lavoro, persone che muoiono letteralmente di fame sotto ai nostri occhi, persone che hanno un aspettativa di vita più bassa di quella registrata nel medioevo...
Io, mi dispiace, non riesco più a guardare questi personaggi. Ma non è colpa loro. La colpa è nostra, che continuiamo a sostenere questo perverso meccanismo che campa sulla nostra fiducia di telespettatori-consumatori-pecoroni. Se non avessero più il nostro sostegno, perchè finalmente indignati non nei confronti della nobiltà dello sport (che amiamo), ma verso questo vergognoso sistema che genera mostri e debiti all'infinito (o quasi).
Sono convinto che lo sport praticato a livello agonistico debbe comunque garantire, a chi lo pratica sacrificando tempo e affetti, uno stipendio dignitoso. Quanto quello di un operaio o di un impiegato.
E non mi venite a raccontare che guardare lo sport preferito in televisione, e magari veder vincere la propria squadra, è come sognare. Sognare cosa? Un futuro senza presente, forse?
Boicottiamo questo che non è più, da un pezzo, "lo sport". E se non vogliamo farlo per noi, facciamolo per chi verrà dopo di noi.
Etichette: interessi, società malata, sport
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