Lavorare meno, lavorare tutti: come aumentare i posti di lavoro senza far crescere il tanto famigerato quanto dannoso "PIL"
Crisi o non crisi, è possibile essere tutti più ricchi lavorando di meno e rinunciando (chi ha la fortuna di averlo) a pochi spiccioli del proprio stipendio. Come? Seguendo i principi della decrescita felice!
Prendendo spunto da un bella riflessione di Roberto Lorusso e Nello De Padova (che vi invito a leggere scaricando il pdf qui: http://www.decrescitafelice.it/wp-content/uploads/2008/06/tempolavororiflessione.pdf), vi faccio questo banale quanto concreto esempio.
Prendiamo una grossa scuola, da circa 100 dipendenti tra docenti, amministrativi e collaboratori (lo stesso esempio lo possiamo fare considerando una fabbrica con un uguale numero di lavoratori).
Supponiamo che il 10% di questi (ovvero 10 lavoratori) "rinunci", per esempio, a tre-cinque ore settimanali (a seconda della mansione e del monte ore complessivo) del proprio turno di servizio per poter avere più tempo da dedicare alla famiglia o allo sport o al volontariato o, ancora, ad un particolare hobby. Magari uscendo prima per tre giorni/settimana o lavorando tre ore di meno per un giorno/settimana, oppure accumulandole in un'intera settimana "libera"/anno.
A fine mese lo stipendio verrebbe decurtato di un centinaio di euro, un 7-8% in meno (in media).
Ma.... perchè "lasciare" queste tre-cinque ore? Già che si arriva a fine mese con l'acqua alla gola, dobbiamo "perdere" 100 euro per cosa?
La scuola, o la fabbrica, che si trova con tre-cinque ore "scoperte" a settimana per ciascuno dei 10 dipendenti che ha aderito a questa riduzione oraria (e, quindi, con un totale di 30-50 ore settimanali scoperte), si trova a dover assumere due persone in più (una a tempo pieno e l'altra part-time, ad esempio; oppure tre nuovi lavoratori part-time).
Per 10 lavoratori che "rinunciano" a circa 100 euro di stipendio al mese, guadagnando ore in più da trascorrere con la famiglia o seguendo la propria passione, abbiamo dato lavoro a due giovani o meno giovani (magari precari, o inoccupati/disoccupati). Senza oneri extra per il datore di lavoro (Stato o privato che sia), senza incrementare il PIL. Che, si noti bene, in questo modo non è neppure diminuito: il reddito è stato semplicemente redistribuito, per renderlo disponibile a chi altrimenti (disoccupato) non ne avrebbe avuto a sufficienza nemmeno per i consumi "di base".
Che ne pensate?
Provate ad immaginare se questa riduzione venisse applicata in 10, 100, 1000 strutture diverse. Avremmo almeno 20, 200, 2000 occupati in più. Vi sembra poco?
Oltre ad incrementare i posti di lavoro (cosa di prim'ordine al giorno d'oggi), io punterei l'accento sul fatto che, riducendo i consumi superflui e avendo più tempo libero da trascorrere con i nostri affetti o per le nostre passioni, aumenta (e di parecchio) la nostra sensazione di benessere pur guadagnando di meno. E cresce anche il nostro livello di felicità che - ricordiamocelo - non si misura semplicemente con i beni materiali che possediamo/acquistiamo/desideriamo, anzi...
Quando si sta bene con se stessi, non si sta bene con il mondo intero? Pensiamoci!
Prendendo spunto da un bella riflessione di Roberto Lorusso e Nello De Padova (che vi invito a leggere scaricando il pdf qui: http://www.decrescitafelice.it/wp-content/uploads/2008/06/tempolavororiflessione.pdf), vi faccio questo banale quanto concreto esempio.
Prendiamo una grossa scuola, da circa 100 dipendenti tra docenti, amministrativi e collaboratori (lo stesso esempio lo possiamo fare considerando una fabbrica con un uguale numero di lavoratori).
Supponiamo che il 10% di questi (ovvero 10 lavoratori) "rinunci", per esempio, a tre-cinque ore settimanali (a seconda della mansione e del monte ore complessivo) del proprio turno di servizio per poter avere più tempo da dedicare alla famiglia o allo sport o al volontariato o, ancora, ad un particolare hobby. Magari uscendo prima per tre giorni/settimana o lavorando tre ore di meno per un giorno/settimana, oppure accumulandole in un'intera settimana "libera"/anno.
A fine mese lo stipendio verrebbe decurtato di un centinaio di euro, un 7-8% in meno (in media).
Ma.... perchè "lasciare" queste tre-cinque ore? Già che si arriva a fine mese con l'acqua alla gola, dobbiamo "perdere" 100 euro per cosa?
La scuola, o la fabbrica, che si trova con tre-cinque ore "scoperte" a settimana per ciascuno dei 10 dipendenti che ha aderito a questa riduzione oraria (e, quindi, con un totale di 30-50 ore settimanali scoperte), si trova a dover assumere due persone in più (una a tempo pieno e l'altra part-time, ad esempio; oppure tre nuovi lavoratori part-time).
Per 10 lavoratori che "rinunciano" a circa 100 euro di stipendio al mese, guadagnando ore in più da trascorrere con la famiglia o seguendo la propria passione, abbiamo dato lavoro a due giovani o meno giovani (magari precari, o inoccupati/disoccupati). Senza oneri extra per il datore di lavoro (Stato o privato che sia), senza incrementare il PIL. Che, si noti bene, in questo modo non è neppure diminuito: il reddito è stato semplicemente redistribuito, per renderlo disponibile a chi altrimenti (disoccupato) non ne avrebbe avuto a sufficienza nemmeno per i consumi "di base".
Che ne pensate?
Provate ad immaginare se questa riduzione venisse applicata in 10, 100, 1000 strutture diverse. Avremmo almeno 20, 200, 2000 occupati in più. Vi sembra poco?
Oltre ad incrementare i posti di lavoro (cosa di prim'ordine al giorno d'oggi), io punterei l'accento sul fatto che, riducendo i consumi superflui e avendo più tempo libero da trascorrere con i nostri affetti o per le nostre passioni, aumenta (e di parecchio) la nostra sensazione di benessere pur guadagnando di meno. E cresce anche il nostro livello di felicità che - ricordiamocelo - non si misura semplicemente con i beni materiali che possediamo/acquistiamo/desideriamo, anzi...
Quando si sta bene con se stessi, non si sta bene con il mondo intero? Pensiamoci!
Etichette: decrescita, lavoro, PIL
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