All'alba, sottovento
L’aria è tersa e frizzante, la senti dentro mentre respiri a pieni polmoni. Il sole deve ancora sorgere all’orizzonte, manca almeno un’oretta all’alba di un nuovo giorno di questa tiepida primavera. Un consueto “risveglio” per la natura, ammesso che si fosse in qualche modo addormentata, per una meravigliosa e sorprendente serie di eventi che si ripetono sempre uguali ma, allo stesso tempo, sempre diversi.
La rugiada bagna scarpe e pantaloni mentre cammino lentamente, sotto la cinerea luce della Luna, lungo l’evidente sentiero serpeggiante che costeggia il basso corso del fiume. L’acqua scorre placida tra le radici del salice rosso e l’alveo limoso e se ne va, mormorando sommessamente nei suoi mille e più gorghi.
All’improvviso un Usignolo, uno dei primi ad arrivare dalle nostre parti dopo aver svernato in Africa, lancia il suo liquido canto territoriale e spezza quell’ovattato e apparente “silenzio” fatto di lievi fruscii di steli d’erba, di rami sfiorati dalle dolci carezze del vento, del sordo acciottolio degli scarponcini che avanzano lentamente sul terreno sassoso. Individuarne la posizione non è facile ma la familiarità di quei versi, che ricordano la natia campagna-mosaico ancora ricca di elementi diffusi del paesaggio quali siepi, fossati, piccoli nuclei boscati, querce isolate e doppi filari di gelsi, mi fa sentire… a casa, anche se sono altrove.
Superato un piccolo boschetto dominato dal Pioppo bianco, misero residuo d’una vegetazione ripariale ben più rigogliosa, lussureggiante ed estesa, un verso decisamente particolare, simile ad un brontolio sommesso, richiama la mia attenzione. Mi fermo, accucciandomi: l’ancora timido chiarore del cielo non aiuta l’osservazione e solo l’udito può dirimere, con la necessaria pazienza e le implicite difficoltà, la questione. Il caso in situazioni del tutto occasionali e improvvise come questa gioca un ruolo prezioso perché ora, chiunque abbia di fronte, con buona probabilità non riuscirà ad individuarmi se resto immobile: mi trovo sottovento e, approfittando della condizione favorevole, cerco vanamente nei cassetti della memoria di ricordare e associare il verso appena colto con i suoni ascoltati e riascoltati su audiocassette o nei documentari naturalistici, mentre l’unico rumore che percepisco è quello del mio respiro, con in lontananza un soffuso sottofondo generato dallo sciabordio delle acque del fiume.
Non so dire con precisione quanto tempo sia rimasto fermo e relativamente “invisibile”, ad aspettare un qualche elemento di novità che tardava a manifestarsi. Quando parti per un’escursione naturalistica, breve o lunga che sia, in campagna o in montagna, non ti illudi mai troppo sui possibili incontri ravvicinati e fortuiti con gli “altri abitanti” di questi ecosistemi, anche se… ci speri sempre. Tutto d’un tratto un fruscio più fragoroso e particolarmente prolungato mi ricorda che a meno di due metri c’è qualcosa che si muove nel fitto del canneto. Le foglie della Phragmites ondeggiano e la scena che si presenta davanti ai miei occhi è di quelle che non capitano tutti i giorni: ha appena fatto capolino un giovane maschio di Tasso (Meles meles), mustelide bianconero dall’aspetto goffo ma simpatico, intento a delimitare il proprio territorio contiguo all’ingresso principale della tana scavata alla base del folto fragmiteto. Fiuta l’aria e sbuffa, lasciando una nuvoletta di vapore acqueo in aria. Le narici si allargano, la testa si piega ora a destra, ora a sinistra: l’impressione è che sia “nervoso”, sembra aver colto qualcosa nell’aria.
"Che mi abbia individuato?", penso tra me e me, evitando qualsiasi movimento. Non faccio nemmeno in tempo ad elaborare una risposta che si palesa anche ai miei occhi il motivo di tanta agitazione: dalla riva del fiume una coppia di istrici si avvicina con fare lento ma deciso. Qualche grugnito e un paio di sbuffi, poi solo fruscii che diventano sempre più flebili man mano che i due roditori si allontanano. Il tasso scompare nella sua tana e tutto torna come prima, in quell’apparente immobilità e silenzio rotti solamente da un’automobile che sfreccia lungo la vicina strada provinciale.
Un brusco ritorno alla realtà e alle mille problematiche derivanti dall’antropizzazione del territorio, perché quel nastro d’asfalto taglia trasversalmente i percorsi preferenziali di molti animali che scendono dalle macchie boschive collinari per raggiungere il prezioso corridoio fluviale: quanti tassi, istrici, cinghiali, caprioli, ricci, topi, rospi sono stati investiti e, purtroppo, lo saranno ancora in futuro? Tanti, sicuramente troppi, e tutti nel tentativo di superare un ostacolo, una vera e propria barriera artificiale che per molti (i meno vagili) è pressoché invalicabile. Oggi le conoscenze tecniche per ridurre queste stragi silenziose ci sono: non resta che chiedere ad amministratori e politici, facendoci cassa di risonanza per chi non ha voce in capitolo, adeguate misure di mitigazione e compensazione per rendere le infrastrutture viarie sempre più sicure e sostenibili. Per tutti.
La luce del mattino spinge gli ultimi ritardatari a far ritorno nelle loro tane, mentre altri – come la giovane Lucertola campestre colta appena esce dal suo rifugio - si risvegliano.
Mi resta giusto il tempo per scattare qualche immagine, tra la bruma che sale disperdendosi nell’aria e i cinguettii dei passeriformi più attivi. Si va al lavoro, con mente e cuore ricaricati da questa nuova, bella avventura dei sensi giocata all’alba, sottovento.
Testo estratto dal volume "I naturalisti raccontano" (con l'autorizzazione dell'autore, cioè... del sottoscritto :) )
All’improvviso un Usignolo, uno dei primi ad arrivare dalle nostre parti dopo aver svernato in Africa, lancia il suo liquido canto territoriale e spezza quell’ovattato e apparente “silenzio” fatto di lievi fruscii di steli d’erba, di rami sfiorati dalle dolci carezze del vento, del sordo acciottolio degli scarponcini che avanzano lentamente sul terreno sassoso. Individuarne la posizione non è facile ma la familiarità di quei versi, che ricordano la natia campagna-mosaico ancora ricca di elementi diffusi del paesaggio quali siepi, fossati, piccoli nuclei boscati, querce isolate e doppi filari di gelsi, mi fa sentire… a casa, anche se sono altrove.
Superato un piccolo boschetto dominato dal Pioppo bianco, misero residuo d’una vegetazione ripariale ben più rigogliosa, lussureggiante ed estesa, un verso decisamente particolare, simile ad un brontolio sommesso, richiama la mia attenzione. Mi fermo, accucciandomi: l’ancora timido chiarore del cielo non aiuta l’osservazione e solo l’udito può dirimere, con la necessaria pazienza e le implicite difficoltà, la questione. Il caso in situazioni del tutto occasionali e improvvise come questa gioca un ruolo prezioso perché ora, chiunque abbia di fronte, con buona probabilità non riuscirà ad individuarmi se resto immobile: mi trovo sottovento e, approfittando della condizione favorevole, cerco vanamente nei cassetti della memoria di ricordare e associare il verso appena colto con i suoni ascoltati e riascoltati su audiocassette o nei documentari naturalistici, mentre l’unico rumore che percepisco è quello del mio respiro, con in lontananza un soffuso sottofondo generato dallo sciabordio delle acque del fiume.
Non so dire con precisione quanto tempo sia rimasto fermo e relativamente “invisibile”, ad aspettare un qualche elemento di novità che tardava a manifestarsi. Quando parti per un’escursione naturalistica, breve o lunga che sia, in campagna o in montagna, non ti illudi mai troppo sui possibili incontri ravvicinati e fortuiti con gli “altri abitanti” di questi ecosistemi, anche se… ci speri sempre. Tutto d’un tratto un fruscio più fragoroso e particolarmente prolungato mi ricorda che a meno di due metri c’è qualcosa che si muove nel fitto del canneto. Le foglie della Phragmites ondeggiano e la scena che si presenta davanti ai miei occhi è di quelle che non capitano tutti i giorni: ha appena fatto capolino un giovane maschio di Tasso (Meles meles), mustelide bianconero dall’aspetto goffo ma simpatico, intento a delimitare il proprio territorio contiguo all’ingresso principale della tana scavata alla base del folto fragmiteto. Fiuta l’aria e sbuffa, lasciando una nuvoletta di vapore acqueo in aria. Le narici si allargano, la testa si piega ora a destra, ora a sinistra: l’impressione è che sia “nervoso”, sembra aver colto qualcosa nell’aria.
"Che mi abbia individuato?", penso tra me e me, evitando qualsiasi movimento. Non faccio nemmeno in tempo ad elaborare una risposta che si palesa anche ai miei occhi il motivo di tanta agitazione: dalla riva del fiume una coppia di istrici si avvicina con fare lento ma deciso. Qualche grugnito e un paio di sbuffi, poi solo fruscii che diventano sempre più flebili man mano che i due roditori si allontanano. Il tasso scompare nella sua tana e tutto torna come prima, in quell’apparente immobilità e silenzio rotti solamente da un’automobile che sfreccia lungo la vicina strada provinciale.
Un brusco ritorno alla realtà e alle mille problematiche derivanti dall’antropizzazione del territorio, perché quel nastro d’asfalto taglia trasversalmente i percorsi preferenziali di molti animali che scendono dalle macchie boschive collinari per raggiungere il prezioso corridoio fluviale: quanti tassi, istrici, cinghiali, caprioli, ricci, topi, rospi sono stati investiti e, purtroppo, lo saranno ancora in futuro? Tanti, sicuramente troppi, e tutti nel tentativo di superare un ostacolo, una vera e propria barriera artificiale che per molti (i meno vagili) è pressoché invalicabile. Oggi le conoscenze tecniche per ridurre queste stragi silenziose ci sono: non resta che chiedere ad amministratori e politici, facendoci cassa di risonanza per chi non ha voce in capitolo, adeguate misure di mitigazione e compensazione per rendere le infrastrutture viarie sempre più sicure e sostenibili. Per tutti.
La luce del mattino spinge gli ultimi ritardatari a far ritorno nelle loro tane, mentre altri – come la giovane Lucertola campestre colta appena esce dal suo rifugio - si risvegliano.
Mi resta giusto il tempo per scattare qualche immagine, tra la bruma che sale disperdendosi nell’aria e i cinguettii dei passeriformi più attivi. Si va al lavoro, con mente e cuore ricaricati da questa nuova, bella avventura dei sensi giocata all’alba, sottovento.
Testo estratto dal volume "I naturalisti raccontano" (con l'autorizzazione dell'autore, cioè... del sottoscritto :) )
Etichette: Meles meles, natura, naturalisti, racconto, Tasso
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