CALAMITA’ ARTIFICIALI
Per la serie: quando l’uomo ci mette la mano!
Non c’è più stagione che non porti conseguenze negative per l’uomo e le sue molteplici attività. Basta un giorno di pioggia intensa e intere colline franano a valle, fossi e canali esondano trascinando tutto quello che trovano nel loro percorso, cantine e abitazioni si allagano.
Le richieste di “stato di calamità naturale” si moltiplicano, i danni stimati sono di volta in volta maggiori, la rabbia della gente comune si fa sentire ed i politici di turno abbozzano, denunciano, proclamano, stanziano. Poi più nulla, fino alla successiva catastrofe annunciata.
Il dito viene puntato subito verso i corsi d’acqua, “colpevoli” di non riuscire a trasportare entro gli argini il loro carico. E contro gli “ambientalisti-verdi” che non fanno pulire i fiumi.
Pochi quelli che provano a guardare oltre la punta del proprio dito giustiziere: nel corso degli anni, fiumi e torrenti sono stati costretti a scorrere in alvei sempre più stretti, spesso imbrigliati da sponde cementificate, squadrate, ripulite da vegetazione igrofila autoctona (con grande “gioia” delle piante infestanti che non c’entrano nulla con i corsi d’acqua, e che continuano a ricrescere rigogliose lungo le sponde). Intere pianure alluvionali sono state cancellate e impermeabilizzate da zone industriali, strade e piazzali, che raccolgono l’acqua di pioggia e nello stesso istante la spediscono nei corsi d’acqua più vicini (prima il terreno, ricoperto da erbe, alberi o colture, riusciva ad operare un minimo effetto spugna, trattenendo l’acqua di pioggia per poi rilasciarla gradualmente). Fossi di guardia e capezzagne sono scomparsi, i terreni dei versanti collinari sono arati in profondità fin sul bordo delle strade, creando vere e proprie corsie preferenziali per le acque meteoriche…e per il fango trascinato dall’impeto dell’acqua.
Il codice della strada punisce il conduttore del fondo che non fa ricorso alle buone pratiche per evitare che terra e acqua finiscano sulla strada, eppure … quanti si attengono alle norme, codificate o meno, dettate dal buonsenso? E quanti, tra i controllori, monitorano con la dovuta attenzione il nostro territorio PRIMA che avvengano i danni? Prevenzione, mai sentita questa parola nel settore ambientale? Dovrebbe esserci un Ufficio Prevenzione in ogni ente pubblico (comune, provincia, …), che si interfacci in modo concreto ed efficace con Ambiente, Urbanistica, Protezione Civile, che possa cambiare il vestito invece di ricorrere, spesso tardivamente, alla solita toppa.
Questo è il vero problema, non nascondiamoci dietro un dito: l’abbandono della “cultura del territorio”, la perdita di buonsenso. E che non significa spendere annualmente qualche milione di euro per entrare con le ruspe dentro gli alvei fluviali (come fa la nostra Provincia di Ancona) e fare piazza pulita. Perché creare canali artificiali non serve ad evitare frane, allagamenti, . Serve solo per qualche comunicato stampa, per farsi belli al convegno pre-elettorale, per farsi vedere.
La gestione del territorio parte dalle piccole cose: dal fosso di guardia fatto a regola arte, dall’aratura meno profonda dei campi posti nei fianchi delle colline, dalla realizzazione di contropendenze in prossimità di edifici o strade ubicate più in basso rispetto ai terreni in declivio, dal potenziamento della vegetazione ripariale in grado di produrre un “effetto filtro-spugna” alla pioggia, dalla graduale delocalizzazione di case e aziende dalle zone a rischio (…se si chiamano “pianure alluvionali” ci sarà un motivo, o no?)…
Sono attività che producono, che danno lavoro, che tutelano il territorio. Ci vuole coraggio per andare oltre alle solite frasi di circostanza. E buonsenso, cari Amministratori.
Non c’è più stagione che non porti conseguenze negative per l’uomo e le sue molteplici attività. Basta un giorno di pioggia intensa e intere colline franano a valle, fossi e canali esondano trascinando tutto quello che trovano nel loro percorso, cantine e abitazioni si allagano.
Le richieste di “stato di calamità naturale” si moltiplicano, i danni stimati sono di volta in volta maggiori, la rabbia della gente comune si fa sentire ed i politici di turno abbozzano, denunciano, proclamano, stanziano. Poi più nulla, fino alla successiva catastrofe annunciata.
Il dito viene puntato subito verso i corsi d’acqua, “colpevoli” di non riuscire a trasportare entro gli argini il loro carico. E contro gli “ambientalisti-verdi” che non fanno pulire i fiumi.
Pochi quelli che provano a guardare oltre la punta del proprio dito giustiziere: nel corso degli anni, fiumi e torrenti sono stati costretti a scorrere in alvei sempre più stretti, spesso imbrigliati da sponde cementificate, squadrate, ripulite da vegetazione igrofila autoctona (con grande “gioia” delle piante infestanti che non c’entrano nulla con i corsi d’acqua, e che continuano a ricrescere rigogliose lungo le sponde). Intere pianure alluvionali sono state cancellate e impermeabilizzate da zone industriali, strade e piazzali, che raccolgono l’acqua di pioggia e nello stesso istante la spediscono nei corsi d’acqua più vicini (prima il terreno, ricoperto da erbe, alberi o colture, riusciva ad operare un minimo effetto spugna, trattenendo l’acqua di pioggia per poi rilasciarla gradualmente). Fossi di guardia e capezzagne sono scomparsi, i terreni dei versanti collinari sono arati in profondità fin sul bordo delle strade, creando vere e proprie corsie preferenziali per le acque meteoriche…e per il fango trascinato dall’impeto dell’acqua.
Il codice della strada punisce il conduttore del fondo che non fa ricorso alle buone pratiche per evitare che terra e acqua finiscano sulla strada, eppure … quanti si attengono alle norme, codificate o meno, dettate dal buonsenso? E quanti, tra i controllori, monitorano con la dovuta attenzione il nostro territorio PRIMA che avvengano i danni? Prevenzione, mai sentita questa parola nel settore ambientale? Dovrebbe esserci un Ufficio Prevenzione in ogni ente pubblico (comune, provincia, …), che si interfacci in modo concreto ed efficace con Ambiente, Urbanistica, Protezione Civile, che possa cambiare il vestito invece di ricorrere, spesso tardivamente, alla solita toppa.
Questo è il vero problema, non nascondiamoci dietro un dito: l’abbandono della “cultura del territorio”, la perdita di buonsenso. E che non significa spendere annualmente qualche milione di euro per entrare con le ruspe dentro gli alvei fluviali (come fa la nostra Provincia di Ancona) e fare piazza pulita. Perché creare canali artificiali non serve ad evitare frane, allagamenti, . Serve solo per qualche comunicato stampa, per farsi belli al convegno pre-elettorale, per farsi vedere.
La gestione del territorio parte dalle piccole cose: dal fosso di guardia fatto a regola arte, dall’aratura meno profonda dei campi posti nei fianchi delle colline, dalla realizzazione di contropendenze in prossimità di edifici o strade ubicate più in basso rispetto ai terreni in declivio, dal potenziamento della vegetazione ripariale in grado di produrre un “effetto filtro-spugna” alla pioggia, dalla graduale delocalizzazione di case e aziende dalle zone a rischio (…se si chiamano “pianure alluvionali” ci sarà un motivo, o no?)…
Sono attività che producono, che danno lavoro, che tutelano il territorio. Ci vuole coraggio per andare oltre alle solite frasi di circostanza. E buonsenso, cari Amministratori.
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