Natura et Ratio

domenica, settembre 06, 2020

Il Camoscio appenninico: una risorsa per il territorio montano, una specie ancora a rischio.

Poco più di 10 anni fa questa ed altre foto le avremmo scattate solo in Abruzzo. Ora, grazie al Parco Nazionale dei Monti Sibillini (con il progetto Life Coornata in primis), il "sogno" è diventato realtà anche qui da noi.

Il Camoscio appenninico, che ancora molti escursionisti scambiano per una "capra selvatica", è una specie endemica dell'Appennino ancora a rischio di estinzione. Nei Monti Sibillini, reintrodotto a partire dal 2008, siamo arrivati attorno ai 200 esemplari circa (aspettiamo il censimento autunnale per avere dati più precisi), mentre la popolazione complessiva - distribuita in pochi massicci appenninici compresi essenzialmente tra Marche e Abruzzo - è stimata in poco più di 3000 capi!

Se da un lato non si può non gioire per il successo dei progetti di reintroduzione, dall'altro non bisogna abbassare la guardia: "nuove" minacce di carattere globale incombono sulla sorte del camosci e in questo articolo viene messa in evidenza una delle gravissime conseguenze "locali" dei cambiamenti climatici in atto.

Giova ricordare, infine, che il camoscio è anche un vero e proprio volano - assieme alla cornice naturale in cui vive - per l'economia locale: basti pensare che nel Parco della Majella un'indagine pubblicata nel 2014 ha stimato in almeno 10.000 presenze/anno il flusso turistico riconducibile direttamente a questo animale. Se poi aggiungiamo il "richiamo" di altre specie simbolo, di boschi incontaminati, cascate e punti panoramici... possiamo ben capire l'importanza di coniugare la tutela degli ecosistemi montani con la valorizzazione economica dei beni naturalistici e paesaggistici del nostro Appennino.

Una sfida che non possiamo permetterci di perdere!


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venerdì, febbraio 27, 2009

Centrali eoliche industriali: un grave attacco all'Appennino



La Regione Marche intende con ogni mezzo portare avanti uno dei più gravi attacchi alla natura e al paesaggio montano: la diffusione di gigantesche torri eoliche, alte fino a 140 metri, in aree particolarmente sensibili dell'Appennino.

Ciò sta avvenendo attraverso una indegna strategia volta a screditare la Soprintendenza per i beni Architettonici e per il Paesaggio nonché a scavalcare i pareri di altre autorevoli istituzioni e le norme, anche comunitarie, di tutela ambientale.


Emblematico è il ricorso presentato contro il parere negativo della Soprintendenza (che comunque dovrà nuovamente pronunciarsi) sui due progetti di Montecavallo, Pievetorina e Serravalle del Chienti. Addirittura sconcertante è il Decreto n. 158/08 (a firma del dr. Piccinini) con cui è stato approvato il progetto di centrale eolica di Serrapetrona, ritenuto “indifferibile urgente”.

Progetto che interessa un'area di tutela integrale del Piano Paesistico Ambientale Regionale (PPAR) e in piena Zona di Protezione Speciale, dove la realizzazione di centrali eoliche è vietata ai sensi del D.M. del 17/10/2007. Esso, peraltro, aveva ricevuto il parere non favorevole di ben sei istituzioni, tra cui l'ufficio per la Valutazione di incidenza della stessa Regione, la Provincia di Macerata e i Comuni di Belforte del Chienti e Caldarola.

Di fronte a questo assurdo decreto, le procedure di V.I.A. e di Valutazione di incidenza sono ormai dichiaratamente ridotte ad inutili farse, mentre i vincoli del PPAR erano già stati superati nell'ambito del Piano Energetico.


Come farà ora la Regione, soprattutto attraverso l'Assessore all'Ambiente Marco Amagliani, a continuare a sostenere la compatibilità ambientale di questi progetti?

Autorevoli economisti hanno anche evidenziato come tali progetti rientrino in una logica di sfruttamento della montagna anziché di un suo sviluppo duraturo e realmente sostenibile. Nell'incontro dello scorso 24 gennaio a Belforte del Chienti, Maurizio Pallante – esperto di politica energetica e tecnologie ambientali e promotore dell'iniziativa “m'illumino di meno” di Radio2- ha invece chiarito come le grandi centrali eoliche arrechino un forte impatto nel territorio senza fornire un contributo significativo alla riduzione di CO2.

Ha inoltre evidenziato come, in un sistema inefficiente come il nostro, paragonabile ad “un secchio bucato”, l'assoluta priorità debba essere la riduzione degli sprechi energetici, anche attraverso la riduzione del trasporto su gomma. Solo dopo aver tappato i buchi, infatti, l'energia rinnovabile autoprodotta (ben diversa dalle grandi centrali impattanti e non democratiche) potrà fornire un contributo importante.

Ma la Regione Marche non sta andando in questa direzione. Basti pensare, anzi, alla sproporzione, sottolineata di recente anche da Legambiente, tra gli investimenti destinati alla realizzazione di nuove strade rispetto a quelli, del tutto esigui, destinati alle ferrovie.


L'energia eolica nelle Marche appare, quindi, una scelta dettata più da interessi politici ed economici che non da esigenze di salvaguardia ambientale. D'altra parte, a dimostrazione del giro di affari, alimentato dai contribuenti, legato a questo tipo di impianti, vi è anche la recente notizia delle infiltrazioni mafiose sull'affare eolico in Sicilia.

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