Natura et Ratio

venerdì, gennaio 30, 2009

Vivere in campagna o in montagna



In generale si pensa che vivere in una casa in aperta campagna o rifugiarsi in una sperduta frazione montana scarsamente abitata equivalga – in una visione ora edulcorata, ora bucolica – a tranquillità, aria pulita, animali selvatici che scorrazzano tra prati e boschi, ecc, ecc.

Niente (o quasi) di tutto questo, cari amici miei. L’esperienza diretta del sottoscritto, che è nato in "montagna" ed è vissuto in "campagna" (e ora è tornato in "montagna"), e quella di alcuni amici marchigiani e non… mi hanno spinto a scrivere queste poche righe. Chiamatelo sfogo, segnalazione, denuncia, lamentela o come diavolo volete. Ma è così! E visto che siamo alla vigilia di un giorno importante (... il 31 gennaio finisce l'ennesima stagione venatoria!!!! Tutti alla festa di fine caccia organizzata a Fano dalla Lupus in Fabula!)... mi piace pubblicare questa breve nota.
Tranquillità fa rima con naturalità?
Nella maggior parte dei casi la tranquillità non abita proprio nelle zone rurali, anche in quelle più sperdute e abbandonate (dove la natura ha modo di recuperare il tempo e lo spazio perduto), o nei borghi montani dove finiscono le strade e ci si arriva solo per sbaglio.
Vi state chiedendo perché?

Bene, sono due le motivazioni principali: cacciatori e montanari “di ritorno”.
Nel primo caso ci troviamo di fronte a persone che, nella stragrande maggioranza dei casi (…non me ne vogliano i miei tre compagni di squadra, pallavolisti come me!), si credono giustizieri inviati in missione per conto di non si quale dio, e come tali sono padroni di tutto e di tutti. Invadono terreni coltivati, frutteti, orti, giardini, boschi, proprietà private (… solo in Italia e a Cipro sono rimaste norme del genere!) e sparano a tutto quello che si muove o tenta di farlo, spesso puntando il fucile alla cieca con il rischio di uccidersi a vicenda (come accade ogni anno in una decina di casi almeno).
Se avete la sfortuna, poi, di abitare in una zona “appetibile” per una squadra di “cinghialai”… dovete fare le valige, cari miei, perché quando si organizza una battuta di caccia agli ungulati…. è come se scoppiasse una guerra. Provare, anzi, sentire per credere: urla, spari, versi gutturali, cani latranti, decine di fuoristrada che si muovono in fila indiana da un punto all’altro della valle, persone (…persone ?) con pettorine rosse fosforescenti munite di radioline, binocoli e fucili con mirini laser…

Il tutto per una passione (?), uno sport (?), un dovere morale e civile (?) perché così facendo si fa del bene alla società, si libera il territorio da specie nocive, moleste, dannose. E a fine giornata si spartiscono carne e soldi, brindando all’arrotondamento venatorio dello stipendio mensile.
Provate a dir loro qualcosa. Provate a parlarci, se ci riuscite. Già il fatto di non essere vestiti da militari stile “operazione Desert-Storm” li mette sul chi va là; se poi iniziate il discorso formulando le prime due parole in italiano, vi siete fregati da soli. Vi hanno scoperto: siete forestieri, sotto-categoria dei rompiballe. “Mi scusi, ma ho sentito degli spari proprio sotto casa. Il rumore dei pallini che rotolavano sul tetto mi ha allarmato…, non potete allontanarvi? Anzi, lasciate in pace gli animali, che diritto avete di uccidere un essere vivente?”. Nooo, non possono, loro sono cacciatori. Fanno di mestiere gli assassini.
Ah, sei un’ambientalista, un verde, un’animalista…è tutta colpa vostra le querce si stanno seccando e se cornacchie e volpi si stanno mangiando tutto. E giù improperi irripetibili, condite da battutacce e grasse risate. E qualche colpo di avvertimento: loro possono, sono cacciatori. La domenica dopo ti ritrovi con un cadavere di pettirosso dentro la cassetta della posta o con una strisciata di sangue sulla porta, tanto per avvisarti che i padroni sono loro, che sei tu quello che lì non ci devi stare.
Mi fermo qui, ma potrei scrivere all’infinito.

L’altra categoria che si incontra in montagna o nella più sperduta campagna marchigiana è il montanaro di ritorno. Ovvero, il figlio del montanaro originario (un'altra razza, questa, orami estinta...purtroppo! Il buon Mario Rigoni Stern docet!) che, come fosse un lavoro part-time, passa tutti i pomeriggi e i week-end a: arare e ri-arare il campo fino a 5 metri sotto il livello del mare, spargere pesticidi una-due-tre volte-forse-è-meglio-quattro-non-si-sa-mai-facciamo-cinque, potare alberi lasciando tronchi informi, bruciare ramaglie & plastiche, ecc. ecc.

Ci possono essere, poi, altri frequentatori occasionali di queste zone dimenticate (quasi) da tutti: il fuoristradista della sgassata domenicale (enduro, trial, quad o super-Suv non fa differenza, sempre ad infangarsi deve andare, altrimenti cosa racconta agli amici del bar?) e il "raccoglione", quello che raccoglie di tutto, anche frutti velenosi e funghi tossici, perché in montagna che ci vai a fare se non raccogli una decina di kg di qualcosa?
Se un frutto resta su di un albero si spreca, scherzi! Mica serve come fonte di cibo per qualche disgraziato essere vivente… noooooo, cosa vai a pensare?
Se qualcuno si fosse riconosciuto in uno dei personaggi sinteticamente descritti, non si offenda! Io sto generalizzando, poi in ogni categoria c'è sempre chi è rispettoso di se stesso e degli altri, oltre che dell'ambiente. E alcuni ottimi esempi ci sono anche dove vivo adesso: dal pastore al agricoltore, dall'operaio all'allevatore, e così via.

Ovviamente non c’è solo la parte brutta, in montagna e nelle zone rurali si possono fare bellissimi incontri inaspettati (dallo scoiattolo al capriolo, dal tasso al codibugnolo), si osservano tramonti dalle mille sfumature, si apprezza la lentezza e si assapora ancora il ritmo delle stagioni. Non ci sono paragoni rispetto allo stress e allo smog di una città, anche medio-piccola. Ma il brutto è che, tra cacciatori, fuoristradisti, montanari di ritorno, raccoglioni & co, quassù non c’è più neanche un fringuello! I superstiti sono scappati – e questo è un paradosso – verso le periferie cittadine….dove non si spara (bracconieri permettendo) e c’è pure qualche scarto alimentare da mangiare vicino ai cassonetti o alle case…
Per fare un esempio dell’alto maceratese, si vedono più caprioli, tassi, volpi alla periferia di Tolentino o alle porte della zona industriale di Corridonia, che a ridosso del Parco nazionale dei Monti Sibillini (es: Pievebovigliana, Fiordimonte, …)! Con il conseguente rischio di venir falciati dalle auto che sfrecciano sulla statale 77 della Val di Chienti.

Dal “fronte” per il momento è tutto. Alla prossima!

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martedì, gennaio 27, 2009

Le diverse declinazioni del prefisso "eco"


Sempre a margine dell'incontro di sabato scorso con Maurizio Pallante, ricevo e volentieri pubblico questa nota di Leonardo Virgili della Cooperativa Archè (http://www.casaecologica.net/).



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Le diverse declinazioni del prefisso “eco”
Ecologia ed economia sabato 24 gennaio in provincia di Macerata
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Lo scorso sabato si sono svolti in provincia di Macerata due convegni: uno al mattino e l’altro nel pomeriggio, il primo a Macerata e il secondo a Belforte del Chienti, uno organizzato da Confindustria e l’altro dal Centro di Educazione Ambientale Casa Ecologica. Entrambi avevano l’energia come tema centrale del dibattito.


Il convegno di Confindustria è stato riportato ampiamente dai giornali e ripreso dalle telecamere del Tg3 Marche. L’incontro alla Casa Ecologica con Maurizio Pallante è stato trasmesso sul web dall’Associazione onlus “CGS Vittorio Bachelet” (video ancora on line all’indirizzo http://www.cgsbachelet.org/).


Per quanto è stato raccontato dai giornali e nei servizi televisivi, nel convegno di Confindustria è emersa la necessità di investire nelle nuove fonti energetiche, di risparmiare energia recuperando in efficienza ma soprattutto, per rilanciare l’economia dopo questa crisi, sulla necessità di investire sul nucleare perché, evidentemente, le nuove fonti rinnovabili e il risparmio da soli non bastano.


Come oramai di gran moda in questo periodo, è però anche stavolta inevitabile portare ad esempio il neo presidente americano. Per rilanciare l’economia americana, molto più in crisi rispetto alla nostra, il suo piano prevede un forte investimento sulle fonti rinnovabili e pulite. Obama non nomina nemmeno il nucleare. Ciò dimostra che l’economia, per lo più di un grande Paese, può esser rilanciata in modo ecologico. I due prefissi “eco” possono viaggiare verso la stessa direzione, non sono di segno opposto.


Obama non la penserà esattamente come Pallante, ma sulla necessità di una ripresa economica non vi è dubbio, in quanto ora non stiamo decrescendo ma è in atto una forte recessione (questo punto meriterebbe accurate analisi e discussioni che mi permetto di sorvolare e mi scuso per la superficialità…). Una volta riequilibrato il sistema potremmo mettere a punto la decrescita e ottenere quindi la felicità che ne consegue (si veda anche “Un cammino illuminato dal sole” nel sito internet www.casaecologica.net/materialeinformativo.htm ).


Nel nostro piccolo Paese, invece, nonostante il referendum abbia allontanato questa pericolosa alternativa, ad anni di distanza ancora se ne parla come unica soluzione possibile al problema energia.
Proviamo per un attimo a verificare la percorribilità di questa strada.
1) I tempi: dobbiamo tener conto che reinvestire in energia nucleare comporta, oltre che ad avere i soldi disponibili per questo, anni di attesa per la costruzione delle infrastrutture, andremmo quindi un po’ troppo in la coi tempi.
2) I siti: è bene non nascondere che in Italia non si riesce nemmeno a piazzare un’isola ecologica per l’accantonamento degli ingombranti senza suscitare la reazione della comunità locale, figuriamoci cosa accadrebbe prima per localizzare le centrali nucleari e poi per l’individuazione dei siti di smaltimento dei residui nucleari, scorie radioattive, ecc. La probabile soluzione sarebbe di far un accordo con la camorra per gli impianti in Campania e portare poi le scorie all’estero, in Africa o nell’Est Europa, di cui i costi “economici” sarebbero i più tollerabili.
3) La rinnovabilità: ammettiamo che quanto detto sopra possa esser trascurabile e possa valer la pena di rischiare anche se ogni punto presenta almeno un paio di nodi irrisolvibili. L’uranio è una risorsa a termine e non rinnovabile. A questi ritmi di consumo, senza considerare nuove centrali, è stato stimato che basterà per i prossimi 50 anni. Mettiamo pure che ce ne sia per i prossimi 200 anni, esageriamo in “ottimismo”. Vale la pena di mettere in piedi un rischiosissimo quanto cospicuo investimento per poi trovarci, già con i nostri nipoti, alle prese di nuovo con la crisi energetica? Dopo aver fatto fuori anche l’uranio dalla faccia della Terra e dopo aver speso cifre assurde, ci troveremo punto e a capo. Sempre sperando che nessun “problema di combustione” nel frattempo sia avvenuto negli impianti... Senza dimenticare poi ciò che resterebbe: migliaia di tonnellate di scorie radioattive mortali per i prossimi 2 milioni di anni. Milioni di anni…

Ancora stiamo lì a discutere “nucleare sì o nucleare no”?


Leonardo Virgili

sabato, gennaio 24, 2009

ENERGIA E BUONSENSO



ALCUNE BREVI RIFLESSIONI A MARGINE DELL’INCONTRO CON MAURIZIO PALLANTE

Immaginate di avere un secchio, pieno di buchi, da dover utilizzare quotidianamente per le operazioni di trasporto da un punto all’altro della vostra casa. Vi accorgete subito che dal punto di partenza a quello di arrivo si perde finanche il 60% del contenuto: cosa fate?
Una qualsiasi persona che abbia un bruscolo di buonsenso e un minimo di lungimiranza provvederebbe alla chiusura dei buchi o, alla peggio, andrebbe a cambiare il secchio, giusto?
Ora, immaginate che quel secchio contenga energia proveniente per gran parte da fonti fossili (petrolio e gas): il paragone è pertinente perché più della metà dell’energia che oggi si estrae, si trasforma, si trasporta e, finalmente, si utilizza, viene sprecata.
E cosa fanno i nostri beneamati politici, amministratori e imprenditori del settore? Invece di investire risorse per ridurre o eliminare gli sprechi (chiudendo i “famosi” buchi e garantendo nuove opportunità di lavoro qualificato), si affannano spendendo denaro pubblico semplicemente per cambiare il contenuto del nostro “secchio”, promuovendo ora il ricorso a super-centrali nucleari di ultima generazione, ora la costruzione di colossali centrali alimentate da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico). Senza capire che se non si provvede, da subito, a ridurre gli sprechi e a rendere meno energivori edifici e industrie, nessuna vecchia o nuova fonte energetica potrà andare a colmare la crescente richiesta di energia perché oltre la metà di quella prodotta continua ad essere sprecata.

D’altra parte le proposte incentrate sulla sostituzione di parte dell’offerta delle fonti fossili con fonti alternative rispondono alla perversa logica della “crescita”, considerando l’incremento dei consumi energetici come un dato immodificabile; l’idea di ridurre il consumo di fonti fossili attraverso una riduzione della domanda di energia rientra invece nella logica della decrescita, teorizzata fin dal 1972 grazie ai fondatori del “Club di Roma” (Aurelio Peccei e altri).

Con questo e altri semplici ma efficaci esempi Maurizio Pallante, esperto di politiche energetiche e di tecnologie ambientali, ha intrattenuto il folto pubblico intervenuto nella Casa Ecologica di Belforte del Chienti trattando il tema dell’energia con una chiarezza espositiva senza uguali.
Non so se all’incontro di sabato scorso erano presenti gli estensori del Piano Energetico Ambientale Regionale (Prof. Polonara & co.), i fautori del faraonico progetto di centrale eolica di Monte Cavallo (Sig. Gentilucci & co.) o qualche giornalista ancorato a visioni anacronistiche in tema energetico (si veda, a mero titolo di esempio, l’articolo a firma di Daniele Pallotta apparso il 24 gennaio sull’Appennino Camerte). So, però, che c’erano almeno due sindaci (Belforte del Chienti e Tolentino) che potranno raccontare ai loro colleghi, senza essere tacciati di “radicalismo ambientalista”, cosa c’è da fare sin da subito per arrivare a quella che Pallante chiama “democrazia energetica”, passando da pochi grandi impianti a una rete di impianti di taglie ridotte, capillarmente distribuiti sul territorio: un’amministrazione pubblica che lavora per ridurre gli sprechi e incentiva ogni famiglia da un lato a rendere le case sempre meno energivore, e, dall’altro, favorisce l’autoproduzione energetica grazie alla diversificazione delle fonti di produzione/approvvigionamento (microeolico, minifotovoltaico, biomasse, geotermia, ecc.). Utopia? No, pura realtà quotidiana che si tocca da tempo con mano in numerose realtà italiane e straniere: il risparmio, l’efficienza, la sobrietà negli usi e l’autoproduzione energetica sono manifestazioni d’intelligenza che non comportano limitazioni o rinunce, hanno un impatto ambientale pressoché nullo, migliorano la qualità della vita e riducono la crescita che non porta alcun benessere reale.
L’auspicio, dunque, è che questi meritori incontri informativi possano essere organizzati più spesso per far prendere coscienza della questione energetica ad un numero sempre maggiore di persone e passare dalle parole ai fatti.
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Per saperne di più vi consiglio questi due ottimi libri:
La decrescita felice. Maurizio Pallante (Editori Riuniti), 2005
Un programma politico per la decrescita. A cura di Maurizio Pallante (Edizioni per la decrescita felice), 2008

Quella del nucleare è una favola. Senza lieto fine

Vi riporto un articolo tratto dal quotidiano "Il Secolo XIX" del 19 gennaio 2009 sul tema "energia & nucleare".

Quella del nucleare è una favola. Senza lieto fine.

di GIANNI MATTIOLI
docente di fisica all’Università “La Sapienza” di Roma.

Mi pare che, con grande superficialità da parte dialcuni, si stia arruolando Genova e il suo tradizionale tessuto produttivo dell’elettromeccanica a una prospettiva illusoria,con il rischio di perdere opportunità ben più significative.
Mi riferisco al rilancio del nucleare, che, in un articolo intervistasul Secolo XIX del 25 novembre, viene definito «strada irrinunciabile». Con altri colleghi universitari, più volte ho chiesto al ministro dello Sviluppo economicoClaudio Scaiola la possibilità di un confronto sudati, ma questo finora non è stato ritenuto utile da parte del ministro. Spero che l’ospitalità delSecolo XIX permetta almeno un confronto a distanza e si possa comprendere su quali dati Scajola, e prima di lui il presidente del ConsiglioSilvio Berlusconi, procedano su questa strada. Sono passati almeno 30 anni da quando nel Paese culla di questa tecnologia, gli Stati Uniti, si è preso atto del fatto che era necessario un verosalto qualitativo, di ricerca, per rispondere alla disaffezione nei confronti del nucleare da partedelle imprese elettriche.

È dal 1978, infatti che si blocca qualsiasi ordinativo per il costo troppo elevato degli investimenti necessari per la realizzazionedi questi impianti. Nasce così la ricerca per un tipo di reattore che possa semplificare le procedure dei controlli di sicurezza e di impatto sanitario, che permetta un maggiore rendimento dell’uranio utilizzato e che renda difficile la distorsione militare del ciclo del combustibile impiegato. Come è noto, questa prospettiva apre problemi difficili da vari punti di vista e ben presto cisi rese conto che avrebbe potuto approdare a soluzioni efficaci solo a prezzo di un notevoles forzo di ricerca. Così si pervenne, nel 1999, al varo del Consorzio di ricerca chiamato Generation IV – al quale partecipano ormai diversi Paesi, tra cui anche l’Italia – e che ormai vede slittare iltempo di una realizzazione industriale al 2030-2040.
E intanto? Da alcuni anni è invalso l’uso di dare il nome di “III generazione” a reattori che abbiano introiettato i cosiddetti “insegnamentidi Harrisbourg”, scaturiti cioè dall’esperienza del 1979 con l’incidente di Three Miles Island. Non sitratta beninteso di reattori di nuova concezione,o di reattori “a sicurezza intrinseca”, come qualcuno erroneamente dice, ma della rivisitazione dei reattori del tipo di quelli che si realizzavano prima di Chernobyl.
In tutti questi anni, che cosa hanno fatto legrandi imprese elettromeccaniche americane, francesi otedesche o giapponesi? Si sono contese il mercato di quei Paesi che potevano permettersi di chiudere qualche occhio dal punto di vista delle pretesedi “controllo della sicurezza”, ma in casa, dinucleare, oltre alla componentistica di sostituzione,non hanno piantato nemmeno uno spillo.Ci si riprova ora con il reattore finlandese, i cui tempi di realizzazione si allungano insieme agliesborsi finanziari, e americani e francesi puntano alla sostituzione, in casa propria, di quegli impiantiche, giunti a fine corsa, non si possono rimpiazzare con centrali a combustibili fossili, salvo sballare gli scenari di Kyoto, sia che si abbia approvatoo meno quel protocollo.
Areva inizio' così, a Flamanville, un cantiere giàinterrotto dall’ente di controllo della sicurezza: cisi è disabituati al fatto che i controlli in madre patria siano più rigorosi di quelli in India o in Cina.E George W. Bush vara nel 2005 la legge che prevede forti incentivi per la realizzazione dei reattori: senza quegli incentivi, dice la Exelon – una delle principali elettriche Usa – nessuno si sarebbe mossoe forse, ora, si vedrà un paio di reattori nei prossimi dieci anni.
Questo è il quadro, al quale si può aggiungere lasingolare vicenda di Enel in Slovacchia o in Russia: ma non fu detto che erano i reattori dell’Est quelli in cui possono capitare le Chernobyl?In questo quadro si arruola Ansaldo. Per fareche cosa? Per quale mercato? Areva o Westinghouse o Toshibacederanno quote dello striminzito mercato della terza generazione?
O il mercato è quello italiano: con che faccia si andrà a dire a qualche regione che per ora la quarta generazione non è pronta e si devono accontentare dei vecchi reattori?
Ci provi Berlusconi con il suo sorriso più accattivante. E per tutti questi reattori – che funzionano a Uranio 235, non al più abbondante Uranio 238 – dove si troverà quel mercato abbondante, tale da farci uscire dalle strettezzedel petrolio e del gas?
Un’ ultima cosa, piccola, piccola: per carità, non sull’irrisolto problema delle scorie, ma sul danno sanitario legato al funzionamento di routine degli impianti. Suggerisco al ministro Scajolala lettura della pubblicazione 103 (2007) della Commissione internazionale di protezione dalle radiazioni ionizzanti (Icrp): vada poi a spiegare ai lavoratori delle centrali quale è il numero di tumori attesi, come effetto della dose limite. Ora all’Ansaldo, alla città di Genova, si possono raccontare tante favole e ritrovarci così tra qualche anno in una situazione ancora peggiore di quella di oggi. Perché è vero che oggi il mercato degli aerogeneratori o del fotovoltaico è dominato da spagnoli, danesi, tedeschi, ecc..., ma la situazione è ancora recuperabile e inoltre per un paio di decenni le turbine a gas staranno ancora sul mercato, mentre si spalancano le diverse prospettive dell’uso dell’idrogeno o delle tecnologie dell’uso efficiente dell’energia.
È la realtà alla quale ci chiama il 2020 Europeo, un’opportunità straordinaria che in Germania va già verso i 300 mila posti dilavoro. Ma si tratta per le nostre imprese di una prospettiva alternativa alle superficiali e inconsistenti proclamazioni nucleari.
Possibile che non se ne possa discutere?

lunedì, gennaio 19, 2009

L'INTELLIGENZA INQUINATA

Ricevo e volentieri pubblico questa lettera-denuncia di un medico oncologo, esperto in epidemiologia e malattie legate agli inquinanti.



L´ INTELLIGENZA INQUINATA

Caro Direttore,
la stragrande maggioranza degli italiani non si è accorta che mentre si disquisiva su grembiulini, guinzaglio al cane e voti in pagella, l´attuale governo, senza -sia chiaro- incontrare la benché minima opposizione, ha dato il via libera alla privatizzazione dell´acqua con l´articolo 23 bis del decreto legge 133/2008. Ciò significa che è stato sancito per legge che nel nostro paese l´acqua non è più un bene pubblico, ma una merce e che la gestione dei servizi idrici può quindi essere affidata a imprese/società pubbliche, miste, ma anche totalmente private, ad es. alle stesse multinazionali che controllano il mercato delle acque minerali.

Da anni voci coraggiose, come quella di padre Alex Zanotelli, sostengono che la privatizzazione dell´acqua a livello mondiale causerà milioni di morte per sete nei paesi più poveri ed è l´acqua, ancor più del petrolio, l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.Comunque in Italia gli effetti della privatizzazione si erano già visti:

* in Toscana mentre il Comune di Arezzo primo in Italia aprivatizzare il servizio idrico sta discutendo del ritorno ad unasua totale gestione pubblica, la "Publiacqua s.p.a." ha aumentatoil prezzo a carico dei cittadini, in seguito della riduzione deiconsumi, al fine di mantenere lo stesso profitto

* nel Lazio "Acqualatina" (controllata da Veolia multinazionalefrancese) ha aumentato le tariffe del 300% e a chi protestava sonostati staccati i contatori...Ma l´esproprio di Beni Comuni non si è limitato all´ acqua, il 30 dicembre nel silenzio politico delle festività e grazie alla complicità di tutte le forze politiche, presenti e non, in Parlamento, con la legge n. 210 del 30 dicembre 2008(http://www.parlamento.it/parlam/leggi/08210l.htm)pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.2 del 3 gennaio 2009, sono stati riconfermati i vergognosi CIP6 agli inceneritori, con una spesa per i contribuenti valutabile in due miliardi di Euro l´anno.
Nel dl 172 all´articolo 9 (incentivi per la realizzazione degliinceneritori) vengono infatti confermati gli incentivi ("Cip6") all´incenerimento per la parte non biodegradabile dei rifiuti e per le cosiddette "fonti assimilate".
Gli incentivi Cip6 vengono concessi a tutti gli impianti in costruzione o entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2008. Vengono altresì confermati, in aggiunta, per una quota pari al 51%, gli incentivi sotto forma di "Certificati Verdi" a tutte le forme d´incenerimento (sia rifiuti tal quali, sia residui da raccolta differenziata che per il cosiddetto "combustibile da rifiuti"). Questo sia che si tratti di rifiuti non biodegradabili che biodegradabili. Anche questo nel più assordante silenzio dei media e nel più ampio e trasversale consenso di tutte le forze politiche.
Sarebbe utile che qualcuno ricordasse agli amministratori e ai politici che la comunità europea ha quantificato in modo molto preciso i costi dei danni all´ambiente ed alla salute derivanti da una qualunque fonte emissiva (costi esternalizzati http://www.externe.info/).

Tali costi andrebbero pertanto sempre tenuti in considerazione per ogni insediamento produttivo/industriale. Aanche se questi "costi" in Europa sono - al momento - valutati da 3 a 5 volte meno che negli USA, è importante che finalmente si riconosca - nei fatti - che una centrale elettrica, una discarica, un inceneritore, un cementificio, ecc. _provocano_ danni, che hanno oltre ad un costo in termine di sofferenza, anche costi economici ben quantificabili.

Ecco alcuni esempi del macabro "tariffario":
--> Cancro (mortale o no): 2 milioni di euro
--> Morte prematura: 1 milione di €
--> Valore di un anno di vita perso: 50mila euro
--> 1 punto di quoziente intellettivo perso ( a causa del mercurio ):10 mila €

A titolo di esemplificazione ricordo che lo studio di Coriano aveva evidenziato, fra le donne residenti almeno 5 anni nel raggio di 3.5 km dagli inceneritori, un eccesso di morti stimabile in oltre un centinaio di casi: i conti sono presto fatti, oltre 200 milioni di Euro, ma qual´è il prezzo in termini di sofferenza e lutto per un familiare deceduto per un cancro evitabile? Chi potrà mai risarcirli?

Sempre a titolo esemplificativo ancora più recentemente http://wmr.sagepub.com/cgi/content/abstract/26/2/147 sono stati calcolati i danni economici che la combustione dei rifiuti arreca alla salute delle popolazioni: questi costi variano da 4 a 21 Euro per ogni tonnellata di rifiuti combusta, a seconda che ci sia recupero o meno di energia e dell´ efficienza di tale recupero; quindi, ovviamente, i danni arrivano anche con i tanto decantati impianti a recupero energetico.
Si può facilmente calcolare che un inceneritore da 120.000 tonnellate comporterà, ogni anno, danni variabili da 480.000 a 2.520.000 Euro!Che senso ha, in un momento di crisi economica così grave, in cui tutti noi paghiamo le conseguenze di una finanza mondiale che ha mostrato il suo vero volto bancarottiere, orientato solo alla ricerca illimitata di profitto, perseguire in scelte che comportano costi tanto intollerabil per le popolazioni?
Come è possibile che anche quando esistono soluzioni semplici e concrete ai problemi mai, o quasi mai, esse vengano accolte? Incentivare il risparmio di energia, di acqua e di risorse in generale, puntare non sul carbone ma su fonti realmente rinnovabili quali solare ed eolico, riciclare e recuperare i rifiuti e non bruciarli, porterebbe certo meno profitti a multiutility, lobbies e multinazionali, ma certamente più salute e benessere a tutti noi.

Comincio a pensare che il genere umano, in particolare chi ci governa, risenta dei gravi danni alle funzioni intellettive che l´inquinamento, specie da Piombo e Mercurio, provoca.Suggerisco di stabilire dei nuovi "limiti di legge": richiedere l´analisi del quoziente intellettivo non solo agli amministratori e ai politici che perseverano in scelte scellerate, ma anche a chi continua a votarli

Cordiali saluti
Dott.ssa Patrizia Gentilini
Medico Oncologo ed Ematologo
Forlì 18 gennaio 2009

lunedì, gennaio 05, 2009

PER UN 2009 DI PACE, INIZIAMO DA ARMI E BANCHE



In questi giorni segnati dall’inasprimento del conflitto Israelo-Palestinese, vi riporto due documenti di grande interesse, prendendo spunto dal n. 321 de “L’APPUNTALAPIS” - www.traterraecielo.it).
Secondo fonti autorevoli (dal sto www.governo.it e dall’edizione del 29.3.08 de “Sole 24 Ore”), nel 2007 sono cresciute le esportazioni di armi prodotte nel nostro Belpaese ed esportate laddove spirano venti di guerra. Armi italiane per uccidere vite umane…
E chi finanzia questi movimenti di milioni di euro? Le nostre Banche Armate, ovviamente. Leggere, meditare e … agire: lottiamo per la riconversione dell’industria bellica e… cambiamo banca!


CRESCONO LE ESPORTAZIONI DI ARMI
(dal Sole 24 ORE, 29 Marzo 2008)

È aumentato anche nel 2007 l'export di armi prodotte dall'industria italiana. La crescita è stata del 9,4% a 2.369 milioni di euro complessivi, considerando il valore delle esportazioni definitive...
Lo rende noto il Rapporto annuale al Parlamento della Presidenza del Consiglio. L'incremento è significativo perché viene dopo un periodo di impetuosa crescita: il 2006 aveva segnato infatti un incremento del 61% del valore delle licenze di esportazione rilasciate dal ministero degli Esteri.
«L'industria italiana per la difesa ha di fatto consolidato e rilanciato la propria capacità produttiva nel campo delle esportazioni di materiale per la sicurezza e difesa - si legge nel rapporto - confermandosi capace di rimanere competitiva in aree tecnologiche d'avanguardia». Fra le esportazioni autorizzate emergono «l'importante commessa verso il Pakistan per sistemi di difesa antiaerea di punto e le commesse per pattugliatori ed artiglierie navali per la Turchia».
L'azienda al primo posto per valore è Mbda Italia, società missilistica del gruppo Finmeccanica, con 442,9 milioni per la vendita al Pakistan di missili antiaerei Spada.
Il Pakistan è al primo posto tra i Paesi destinatari delle armi italiane, con quasi il 20% del totale, pari a 471,6 milioni, davanti a Finlandia (250,96 milioni), Turchia (174,57 milioni), Gran Bretagna (141,77 milioni) e Stati Uniti (137,72 milioni). Al settimo posto la Malaysia, 120 milioni per la fornitura di addestratori Aermacchi Mb339 e sistemi d'artiglieria navale.
Il contratto per i missili al Pakistan è stato autorizzato verso la fine dell'anno. La Farnesina ha atteso diverse settimane prima di firmare la licenza, per l'imbarazzo legato alla delicata situazione politica del Paese.
La seconda azienda esportatrice è la Intermarine, nel settore navale, che fa capo alla Immsi di Roberto Colaninno, con 244,8 milioni. Quindi Fincantieri (191,6 milioni), Agusta Westland (190) e Oto Melara (167,65), entrambe controllate da Finmeccanica.
Nelle operazioni autorizzate del 2007 non c'è una maxicommessa già annunciata da Finmeccanica, la fornitura alla Turchia di elicotteri Agusta A129, perché non è completata la procedura di autorizzazione.

Nel capitolo dedicato alle banche finanziatrice del l'export, il Rapporto spiega che gli «importi autorizzati per istituti di credito» sono 1.224,8 milioni: al primo posto Unicredit banca d'impresa (183,27 milioni, il 14,96% del totale), seguita da Deutsche Bank (173,92 milioni), Intesa Sanpaolo (144,65). Più distanziate Citibank (84 milioni), Bnl (63,82), Abc International Bank (58), Cassa di risparmio di Bologna (53,66), Bnp Paribas (48,39), Hsbc Bank (27,18), Commerzbank (26,98).

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BANCHE ARMATE…
… ovvero le banche che finanziano il mercato delle armi.
La lista che segue è parziale per due motivi. Il primo è che riguarda solo le operazioni UFFICIALI, cioè autorizzate dal governo. Nulla sappiamo di operazioni NON UFFICIALI, se ce ne sono. Il secondo è che nella lista compaiono solo i nomi di grandi gruppi bancari che, in anni recenti, hanno monopolizzato il mercato acquisendo molte banche minori o locali.
Spiace trovare ancora in questo elenco Banca Popolare di Milano, socio di Banca Etica ed una banca del Credito Cooperativo.

Se non vuoi contribuire anche tu, con il tuo conto in banca, a finanziare il mercato della guerra controlla la lista qui sotto. Se la tua banca è nella lista, o appartiene ad un gruppo bancario che è nella lista cambiala. Per non essere complice.

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Banche che hanno effettuato transazioni finanziarie (LEGALI, cioè autorizzate dal governo) legate al commercio delle armi nell'anno 2007.
INFO: www.nigrizia.it, www.banchearmate.it , www.governo.it

ABC International Bank PLC
Arab Bank - Roma
Banca Antonveneta
Banca di Bientina Credito Cooperativo
Banca di Roma SpA
Banca Nazionale del Lavoro SpA
Banca Popolare dell'Emilia Romagna
Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio
Banca Popolare di Milano
Banca UBAE SpA
Banca Valsabbina SCPA
Banco Bilbao Vizcaya
Banco di Brescia
Banco di San Giorgio spa ubi
Banco di Sardegna
Banco di Sicilia spa
Bipop Carire
Bnp Paribas
Carispaq spa
Cassa di Risparmio della Spezia spa
Cassa di Risparmio in Bologna spa
Citibank N.A.
Commerzbank A.G.
Credito Artigiano spa
Credito Valtellinese
Deutsche Bank spa
Europe Arab Bank Plc
Fortis Bank Sa-Nv
Hsbc Bank Plc
Intesa San Paolo spa
Natixis
Societè Generale
Unicredit Banca d'Impresa spa (Ultima in ordine alfabetico, ma prima per attività con 183 milioni di euro)