Natura et Ratio

martedì, luglio 20, 2010

NON UCCIDETE I PARCHI NAZIONALI!



In ogni nazione i parchi nazionali sono il simbolo delle politiche di conservazione e di sviluppo sostenibile.
In tutto il mondo i parchi nazionali rappresentano i più importanti serbatoi di biodiversità.
In tutto il mondo cresce il numero dei parchi nazionali nella convinzione sempre più diffusa dell’importanza del loro ruolo per la salvezza della vita dell’intero pianeta.
Da circa un secolo donne e uomini in tutta Italia si adoperano per istituire, vitalizzare, sostenere i parchi nazionali e le altre aree naturali protette. Questa azione ha conseguito risultati straordinari:
oggi 23 parchi nazionali gestiscono e tutelano il 5% del territorio nazionale; si è sviluppato un movimento di operatori, di studiosi, di gestori, di associazioni che per professionalità e spirito collaborativo rappresentano una grande ricchezza per tutto il paese; si sono attivati nuovi e crescenti flussi turistici anche internazionali; si sono diffuse metodologie originali ed efficaci di formazione
delle giovani generazioni. I riconoscimenti che provengono da tutto il mondo testimoniano l’importanza del sistema italiano delle aree protette e in particolare dei parchi nazionali.
Malgrado gli scarsissimi finanziamenti pubblici - che negli ultimi anni si sono progressivamente ridotti proprio mentre è cresciuto il numero dei parchi nazionali - questi risultati si sono potuti ottenere grazie alla passione, all’abnegazione, alla capacità innovativa di quel movimento.
Ma l’attuale manovra finanziaria del Governo dimezza d’un solo colpo il contributo statale all’insieme dei parchi nazionali portandolo da 50 milioni di euro a 25 milioni, cioè al costo di un solo km della inutile e devastante autostrada romea (Mestre-Orte) attualmente al vaglio della Commissione VIA!
Inoltre il previsto taglio dei finanziamenti alle Regioni finirà per incidere pesantemente sull’insieme delle aree protette e in particolare sui parchi regionali.
Così nell’anno internazionale della biodiversità, mentre il Ministro dell’Ambiente sottolinea ufficialmente il ruolo fondamentale che i parchi svolgono per la tutela della biodiversità, il Governo, di cui quel Ministro fa parte, li paralizza, anzi li strangola: con un finanziamento ordinario medio di appena un milione di euro a testa i parchi nazionali non potranno far fronte alle spese obbligatorie, neanche a quelle per il personale, e sarà loro precluso l’accesso alle risorse aggiuntive e in particolare ai fondi comunitari.
La volontà sembra quella di eliminare chi strenuamente difende e sostiene la natura e il territorio.
La misura è ancor più grave perchè assume una dimensione che non riguarda solo il nostro Paese: la conservazione della natura e del paesaggio è percepita come valore universale, la tutela della biodiversità non si arresta ai confini nazionali.

Noi,
che da anni siamo impegnati sul fronte dei parchi,
che operiamo quotidianamente nella gestione di essi,
che amiamo i parchi e ne siamo fruitori,
denunciamo la drammatica situazione in cui i parchi nazionali italiani vengono ridotti,
ci impegniamo a rappresentare questa situazione in tutte le sedi opportune, nazionali e internazionali,
esigiamo che i parchi in Italia continuino a vivere, a rafforzarsi, a svolgere la propria insostituibile e splendida missione nell’interesse di tutti e soprattutto delle generazioni future.

16.7.2010

Per adesioni: graziani@unimc.it

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domenica, luglio 18, 2010

Quando lo sport non è più "solo" sport

Credo che mai come oggi si possa considerare l'attività sportiva, svolta a livello agonistico e con rilevanza nazionale, una sorta di "specchio deforme e deformante" della nostra paradossale società del finto e luccicante benessere.

Miliardi di euro per comprare questo o quel giocatore, interessi enormi legati a sponsor e vendita dei diritti televisivi, persone che cambiano d'umore (fino a fare o a farsi del male) a seconda di dove finisce un pallone, "tifosi" che vanno allo stadio con bandiere e spranghe, offerte di pacchetti televisvi per gustarsi partite 24 ore su 24, bilanci societari in rosso, scommesse in nero, arbitri e partite "controllate" o "vendute", decine e decine di trasmissioni televisive e radiofoniche costruite sull'improvvisa e improvvida gastrite di quel giocatore o sull'effetto negativo che la nuova bomba-sexy ha avuto sul capocannoniere....

Prendendo in considerazione gli sport più popolari, ovvero quelli maggiormente praticati come (a puro titolo esemplificativo) calcio, basket e pallavolo, vorrei soffermare l'attenzione non tanto sulla singola prestazione di quella squadra o di quel giocatore, come forse avrete già intuito, ma sul giro d'affari che si nasconde dietro a quello che, forse, dovrebbe essere definito in modo diverso nei nostri vocabolari della lingua italiana (sport = attività fisiche praticate singolarmente o in gruppo per divertimento o per migliorare la condizione fisica del corpo).

Riflettiamo, dunque, su due casi recentissimi del calcio marchigiano, che possono essere considerati emblematici ed esemplificativi della realtà malata dello sport agonistico nazionale: l'Ancona, esclusa dalla serie B (in "buona compagnia", come si legge qui: http://www.nuovasocieta.it/sport/6814-calcio-addio-ad-ancona-e-20-club-di-lega-pro.html ), e il Fossombrone, che probabilmente dovrà dire addio alla serie D conquistata anche grazie all'investimento di Mr. Bikkembergs (finito nel mirino della Guardia di Finanza e pronto a lasciare l'Italia, Fossombrone Calcio in primis: http://www.corriereadriatico.it/articolo.php?id=111114 ).

Si tratta di un sistema oramai incancrenito che poggia su gambe (leggasi finanziatori) decisamente traballanti: si allestisce una squadra competitiva grazie al budget a disposizione, e con una buona dose di marketing e battage promo-pubblicitario si avvia la stagione abbindolando tifosi e non.
Quando il finanziatore per qualsiasi motivo se ne va, quella società rischia di scomparire da un giorno all'altro e i tifosi si ritrovano senza stadio o palazzetto domenicale.

In un periodo di crisi economica planetaria, dovuto essenzialmente al consumismo e alla vorticosa crescita di un'economia capitalistica autodistruttiva, il calcio e gli altri sport che vanno per la maggiore non possono essere da meno: gli ingaggi aumentano di anno in anno, i bilanci societari si gonfiano pur di restare a galla, i proprietari dei mass-media fanno a gara per aggiudicarsi questo o quell'evento con una sorta di asta al rialzo. Un circolo vizioso che macina e frantuma chi non riesce a seguire il ritmo sempre più vorticoso e parossistico. E addirittura conivolge anche gli indici delle borse di tutto il mondo, essendo i principali team quotati nei listini borsistici. Perde la formazione di Tizio Caio e mi ritrovo con migliaia di euro in meno nei miei fondi di investimento....

Ci rendiamo conto a che livello paradossale siamo arrivati? Non pensate sia il caso di farsi sentire per mettere un freno a tutto questo e tornare a livello di decenza umana?

Infine, lasciatemelo dire ora, a bocce (anzi, palloni) fermi: pur con tutta la simpatia che ho per alcuni "campioni" della nazionale italiana di calcio, non sono riuscito a guardare nemmeno un secondo di partita dei mondiali appena conclusi. Ma non perchè io ce l'abbia a morte con qualcuno in particolare, nè perchè non ho la TV in casa (bastava affacciarsi in un bar qualsiasi, anche nel paese montano più sperduto, per trovare una televisione sintonizzata sui mondiali).
No, il motivo va ricercato nell'assurdità del mondo pallonaro (lo stesso dicasi, con numeri certamente inferiori, per gli altri sport già citati), sostenuto da milioni di spettatori pecoroni che gioiscono per un gol e si arrabbiano a morte per un rigore non dato e, nel frattempo, vengono infinocchiati (passatemi il termine poco orticolo) da sponsor, pubblicità & super-offerte che non fanno altro che cortocircuitare questo perverso sistema.

Ora, come si può gioire e festeggiare nel guardare un giocatore - per quanto bravo, buono e bello - con stipendio annuale milionario, imboccato dal cuoco della nazionale, massaggiato dal fisioterapista della nazionale, in ritiro nel centro sportivo della nazionale, riverito e servito nell'albergo pagato dalla nazionale.... quando ogni giorno ci sono persone che perdono il posto di lavoro, persone che muoiono letteralmente di fame sotto ai nostri occhi, persone che hanno un aspettativa di vita più bassa di quella registrata nel medioevo...

Io, mi dispiace, non riesco più a guardare questi personaggi. Ma non è colpa loro. La colpa è nostra, che continuiamo a sostenere questo perverso meccanismo che campa sulla nostra fiducia di telespettatori-consumatori-pecoroni. Se non avessero più il nostro sostegno, perchè finalmente indignati non nei confronti della nobiltà dello sport (che amiamo), ma verso questo vergognoso sistema che genera mostri e debiti all'infinito (o quasi).

Sono convinto che lo sport praticato a livello agonistico debbe comunque garantire, a chi lo pratica sacrificando tempo e affetti, uno stipendio dignitoso. Quanto quello di un operaio o di un impiegato.
E non mi venite a raccontare che guardare lo sport preferito in televisione, e magari veder vincere la propria squadra, è come sognare. Sognare cosa? Un futuro senza presente, forse?
Boicottiamo questo che non è più, da un pezzo, "lo sport". E se non vogliamo farlo per noi, facciamolo per chi verrà dopo di noi.

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giovedì, luglio 08, 2010

Lavorare meno, lavorare tutti: come aumentare i posti di lavoro senza far crescere il tanto famigerato quanto dannoso "PIL"

Crisi o non crisi, è possibile essere tutti più ricchi lavorando di meno e rinunciando (chi ha la fortuna di averlo) a pochi spiccioli del proprio stipendio. Come? Seguendo i principi della decrescita felice!


Prendendo spunto da un bella riflessione di Roberto Lorusso e Nello De Padova (che vi invito a leggere scaricando il pdf qui: http://www.decrescitafelice.it/wp-content/uploads/2008/06/tempolavororiflessione.pdf), vi faccio questo banale quanto concreto esempio.

Prendiamo una grossa scuola, da circa 100 dipendenti tra docenti, amministrativi e collaboratori (lo stesso esempio lo possiamo fare considerando una fabbrica con un uguale numero di lavoratori).
Supponiamo che il 10% di questi (ovvero 10 lavoratori) "rinunci", per esempio, a tre-cinque ore settimanali (a seconda della mansione e del monte ore complessivo) del proprio turno di servizio per poter avere più tempo da dedicare alla famiglia o allo sport o al volontariato o, ancora, ad un particolare hobby. Magari uscendo prima per tre giorni/settimana o lavorando tre ore di meno per un giorno/settimana, oppure accumulandole in un'intera settimana "libera"/anno.
A fine mese lo stipendio verrebbe decurtato di un centinaio di euro, un 7-8% in meno (in media).
Ma.... perchè "lasciare" queste tre-cinque ore? Già che si arriva a fine mese con l'acqua alla gola, dobbiamo "perdere" 100 euro per cosa?

La scuola, o la fabbrica, che si trova con tre-cinque ore "scoperte" a settimana per ciascuno dei 10 dipendenti che ha aderito a questa riduzione oraria (e, quindi, con un totale di 30-50 ore settimanali scoperte), si trova a dover assumere due persone in più (una a tempo pieno e l'altra part-time, ad esempio; oppure tre nuovi lavoratori part-time).

Per 10 lavoratori che "rinunciano" a circa 100 euro di stipendio al mese, guadagnando ore in più da trascorrere con la famiglia o seguendo la propria passione, abbiamo dato lavoro a due giovani o meno giovani (magari precari, o inoccupati/disoccupati). Senza oneri extra per il datore di lavoro (Stato o privato che sia), senza incrementare il PIL. Che, si noti bene, in questo modo non è neppure diminuito: il reddito è stato semplicemente redistribuito, per renderlo disponibile a chi altrimenti (disoccupato) non ne avrebbe avuto a sufficienza nemmeno per i consumi "di base".
Che ne pensate?
Provate ad immaginare se questa riduzione venisse applicata in 10, 100, 1000 strutture diverse. Avremmo almeno 20, 200, 2000 occupati in più. Vi sembra poco?

Oltre ad incrementare i posti di lavoro (cosa di prim'ordine al giorno d'oggi), io punterei l'accento sul fatto che, riducendo i consumi superflui e avendo più tempo libero da trascorrere con i nostri affetti o per le nostre passioni, aumenta (e di parecchio) la nostra sensazione di benessere pur guadagnando di meno. E cresce anche il nostro livello di felicità che - ricordiamocelo - non si misura semplicemente con i beni materiali che possediamo/acquistiamo/desideriamo, anzi...

Quando si sta bene con se stessi, non si sta bene con il mondo intero? Pensiamoci!

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martedì, luglio 06, 2010

Parcheggi al posto di alberi. Nel 2010.

Sapete, un albero adulto fornisce all'uomo servizi quantificabili in parecchi soldini: uno studio di alcuni anni fa stimava un valore di oltre 100.000 euro/anno per albero!!!
Bene, a Pesaro (una delle città marchigiane assediate dalle auto e dallo smog) c'è chi vuole abbatterne parecchi solo per non spostare di qualche metro un parcheg...gio o rinunciare a qualche posto-auto .....

http://www.altrometauro.net/?area=apriPost&IdPost=10020100706093117

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