Natura et Ratio

martedì, agosto 18, 2020

La consapevolezza per una "risorsa" da preservare

Ha una distribuzione non omogenea ed equivale a poco meno del 3% di tutta quella presente sulla Terra: gran parte dell'acqua dolce è conservata nei ghiacciai (...anche ne stiamo "perdendo" parecchia oramai da diversi anni) e solo una piccola "quota", proveniente dalle falde sotterranee (pari allo 0,35% del totale), è utilizzabile a fini potabili.

Indispensabile per la vita degli organismi viventi e per i delicati equilibri degli ecosistemi da cui dipende anche la sopravvivenza (e il benessere) della nostra specie, già oggi più di 1 miliardo di persone non ha accesso a questa risorsa, con conseguenze tragiche (circa 1,7 milioni di decessi/anno; conflitti locali; migranti ambientali; speculazioni e fenomeni di corruzione che coinvolgono governi e multinazionali).
Essere consapevoli di questo dovrebbe spingerci ad azioni apparentemente "banali" e di "buonsenso" (...evitare gli sprechi, tutelare gli ecosistemi d'acqua dolce, aiutare chi non è nelle nostre condizioni, ridurre le emissioni di gas-serra), ma indispensabili per il futuro.
[Fonti: APAT, "Acqua" - I quaderni della formazione ambientale; sito web "epicentro"; "Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico", E. Borgomeo]
[Foto: cascata di Pian della Ballotta, Lago Serrù, PNGP - estate 2020]

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domenica, marzo 15, 2020

Lettera di un babbo alla sua bimba di 10 anni (così vicini, così lontani)

14 marzo 2020

Hey Cucciolotta,
questa mattina, mentre andavo velocemente a fare la spesa, osservavo quanti balconi ci sono in ogni casa, qui dove mi trovo. Penso sia così in quasi tutti i paesi e le città, al di fuori dei centri storici medioevali. Guardando meglio, mi sono accorto che quasi in ogni balcone c'era una persona affaccendata in qualcosa: la signora anziana che si prendeva cura di una piantina, il giovanotto con l'immancabile cellulare in mano, il tipo appoggiato sulla ringhiera che osservava quello che stava accadendo in strada, qualche bambino intento a giocare.
E allora ho pensato a te, perché oggi c'è ancora un po' di Sole e sarebbe proprio bello giocare almeno una mezz'oretta all'aria aperta. In questi giorni uno dei pochi spazi "liberi", all'aperto, dove si può giocare è proprio il balcone di casa. O, per chi è più fortunato, il cortile, il piazzale o il giardino sotto la propria abitazione.
Quando avevo più o meno la tua età, abitavo già nella casa dei nonni, in campagna. E, proprio come tua Mamma nell'abitazione dei suoi genitori, appena possibile mi divertivo a stare più fuori che dentro: non c'erano i cellulari, i primi giochi elettronici erano molto costosi e, dopo un po' che ci giocavi, ti stancavano. Sicuramente meno interessanti di un'arrampicata su di una pianta, di una corsa in bici, di un nascondino all'aperto, della "caccia" alle lucertole (vincevano sempre loro) o di un'improvvisata partita a pallone con gli amici che abitavano nei dintorni. Ci si ritrovava sempre, bastava stare fuori casa e chiamarsi a voce alta: dopo qualche minuto, chi poteva era già in pantaloncini corti, maglietta e... pallone sottobraccio!

Ecco, pensando a quei tempi, mi sono tornate in mente le sfuriate dei genitori o dei nonni per tutte le marachelle che combinavamo: una pallonata distruttiva sulle piante di rose o di gerani, col pallone che poi finiva... bucato (dalle spine o dai genitori!); un vetro rotto per entrare di fretta in casa, sbattendo malamente la porta-finestra; qualche caduta di troppo sui sassi o sul prato, e la classica ferita sul gomito o sul ginocchio.... e così via!
Stamattina, guardando quei due fratellini giocare in un balcone stretto stretto, ho anche pensato che non ci era mai accaduto, quando eravamo giovincelli come te e come quei bambini, di dover stare richiusi senza poter uscire per giorni e giorni (come purtroppo sta succedendo in questo periodo). Certo, quando piove o quando le giornate si accorciano, oppure quando ci si busca l'influenza, è normale dover stare più in casa che fuori. Ma non era mai successo di stare "in quarantena", quasi all'improvviso e senza poter vedere nonni o altri familiari, per la comparsa di un "mostriciattolo" di virus in libera e pericolosa circolazione in ogni angolo del mondo. Mostriciattolo che ha anche fatto chiudere tutte le scuole, molti negozi e alcune fabbriche. E dire che ce ne sono tanti, tantissimi di mostriciattoli invisibili in giro, tutti i giorni: sono batteri e virus, proprio come l'ultimo arrivato. Ma, fino ad oggi, almeno qui in Italia non siamo stati costretti a chiudere quasi tutto per cercare di difenderci al meglio e di proteggere le persone più deboli (anziani, soprattutto, e tutti quelli che hanno avuto o hanno delle malattie che li rendono molto deboli).
E allora mi chiedo: perché è successo tutto questo? E' giusto, ad esempio, che ai bambini sia stata tolta la "libertà" di giocare nei giardini e nei parchi-gioco? Perché le famiglie sono costrette, trovandosi per lavoro o per altri motivi, a stare separate per giorni e giorni senza potersi vedere, abbracciare, coccolare come sta capitando anche a noi? E di chi è la colpa?
Ecco, proprio questo: la colpa.
La colpa è degli adulti. Anche se non di tutti, di molti adulti che si approfittano della natura, degli animali e delle piante, scombussolando gli equilibri di un pianeta unico e bellissimo com'è la nostra Terra. Molti dei problemi ambientali li stai studiando a scuola e li senti, spesso, anche nei telegiornali: l'uomo sta causando danni e problemi a tutti, facendo ammalare - lentamente, giorno dopo giorno - il nostro meraviglioso e fragile Pianeta.
E allora noi adulti dovremmo imparare a chiedere scusa, ai bambini e alla Terra. E dovremmo anche riparare i danni fatti e smetterla di maltrattare l'unico mondo che abbiamo, imparando questa lezione e cercando di vivere nel giusto equilibrio che c'è in tutte le cose. Dovremo sempre "sfruttare" la Terra per vivere, è vero e fa parte delle normali interazioni tra organismi viventi ed habitat, ma ci sono limiti da non superare e delle "regole" da rispettare: le impariamo sin da scuola, proprio come le stai imparando tu, tutti i giorni. Il rispetto del prossimo e di tutti gli esseri viventi, l'attenzione all'ambiente che ci circonda, l'aiutarsi reciprocamente quando qualcosa non va o quando stiamo male, il prendere quello che serve e non accaparrarsi tutto, perché inevitabilmente qualcuno resta senza l'essenziale per vivere...
Regole e comportamenti che, non appena si diventa adulti, purtroppo iniziamo a "dimenticare" o a "ignorare": questa è una grande colpa di noi adulti, che pensiamo più a guadagnare soldi che al bene degli esseri viventi e del Pianeta.
I primi a rimetterci, poi, sono i più deboli e i più piccoli... ed è un'ingiustizia che non si può sopportare. O, almeno, che io non sono mai riuscito a tollerare: sono arrabbiato per questo, ma anche triste e deluso per il comportamento di noi adulti. Ma sono triste e deluso soprattutto perché, ora, io e tanti altri genitori che vogliono cambiare le cose in meglio non possiamo fare niente...
E forse non riusciremo a fare niente neanche "domani" (tra un mese o due), quando ritorneremo lentamente alla normalità. E lo sai perché? Perché per far cambiare le cose serve tempo e, probabilmente, servono "nuovi adulti", che pensano di più alle cose belle per tutti, a quelle che ci fanno star bene tra di noi e con la Terra. Insomma, temo che bisognerà aspettare ancora molti anni e, nel frattempo, potrebbero arrivare altri "mostriciattoli" che ci costringeranno a restare a casa, perdendo la libertà che tanto ci piace: un nuovo virus, ma anche l'inquinamento che soffoca le città e causa tanti morti ogni giorno, o la siccità che mette in crisi raccolti ed ecosistemi, un alluvione che porta danni e vittime...
Dovremo forse aspettare che i bambini e le bambine di oggi, gli adulti di domani, crescano e rimproverino i loro genitori e i loro nonni per tutti i problemi che hanno causato e che hanno lasciato non risolti? Saranno i giovani di oggi, gli adulti di domani, che prenderanno decisioni importanti per far migliorare la salute del nostro meraviglioso Pianeta?
Temo proprio di sì!
Ma questo non significa che, nel frattempo, noi "adulti arrabbiati" resteremo immobili e silenziosi, anzi... Continueremo a fare di tutto e a lottare per un presente ed un futuro migliori, anche se siamo pochi e... chi prende le decisioni importanti non ci ascolta. Ma non ci fermeremo, cucciola mia, perché non ci sono scuse che tengano!

E' una lettera troppo lunga e forse noiosa, bimba, ma tuo padre ci teneva a scriverla e a fartela leggere. Tra qualche anno speriamo resti solo un ricordo che ci farà sorridere e niente più.
Ti voglio un "universo" di bene, lo sai? :-)
E, appena questa brutta situazione finirà, correrò ad abbracciarti stretta stretta per recuperare tutto il tempo "perso". E non mi dire che la barba ti "picca" sulle guance, ok?
Un super-bacione, a distanza di... più di un metro (visto che siamo sfortunatamente separati da qualche decina di chilometri) e un salutone!
Babbo

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martedì, maggio 09, 2017

Sulla sensibilità: educazione naturalistica ed empatia

Laboratorio di scienze, ore 13:30 circa.
Le lezioni sono terminate da una decina di minuti, mi metto a riordinare libri e relazioni, controllo la posta elettronica e addento il tramezzino nella... "pausa pranzo" quando sento, alle mie spalle, due voci allarmate: "...prof, prof!!!!".
Mi volto e due studenti entrano trafelati nel laboratorio con in mano un... "carico" tanto anomalo quanto prezioso, rinvenuto appena qualche minuto prima in una via limitrofa alla scuola.
Si tratta di un adulto di Rondone comune (Apus apus) che, con buona probabilità, è andato ad urtare una vetrata ed è caduto a terra. Non presenta ferite superficiali evidenti, le ali sono integre ma... appare decisamente frastornato. Mettiamo l'animale a riposo e in osservazione all'interno di uno scatolone, per verificare se - trascorsa un'oretta - riprende ad essere curioso, attivo e mobile (segno, abbastanza empirico, di buona salute). In caso contrario mi riprometto di chiamare un amico veterinario esperto in avifauna.
Il Rondone comune è un animale spettacolare sia per la peculiare bio-etologia, sia per l'aspetto fisico: corpo affusolato e ali falciformi, è una vera e propria macchina per il volo e, pur "assomigliando" - in apparenza - alle più note rondini, presenta caratteristiche fisiche e comportamentali molto diverse.
Vorace insettivoro, migratore, gran chiacchierone: nel corso dei voli spericolati e acrobatici, i garriti emessi dagli individui permettono loro di conoscere sempre la posizione e le eventuali variazioni di rotta da apportare all'istante.
Generalmente è più "facile" trovare a terra i giovani appena involati dal nido, ma non siamo ancora nel momento "clou": questi apodiformi (come ricorda il nome) possiedono delle zampette molto corte non adatte per garantire la locomozione o una spinta verso l'alto per prendere il volo (come avviene negli altri uccelli). Esemplari che cadono a terra, dunque, se non vengono salvati difficilmente tornano a volare e finiscono tra gli artigli di qualche predatore.
Qui qualche consiglio utile, visto che tra qualche settimana potrebero servire.
Più in generale, per saperne di più sui rondoni consiglio questa pagina divulgativa.
Ringrazio di cuore i ragazzi (Giacomo e Alessandro) per aver operato questo salvataggio su strada: potevano restare indifferenti e passare oltre, o fermarsi e limitarsi a guardare, col rischio che un veicolo o un gatto ponessero fine alla storia.
E invece - e di questo, scusatemi, ne vado molto orgoglioso :) - di fronte ad un animale in difficoltà lo hanno soccorso senza esitazioni. Guardate, non è così banale o scontato: la sensibilità e l'attenzione verso animali che non siano cani e/o gatti (per riferirsi a quelli con cui più comunemente abbiamo a che fare) è una dote molto, molto rara. Che si apprende in età giovanile: bisognerebbe lavorare di più sui temi di educazione naturalistica fin dalle scuole elementari, per acquisire quell'empatia che da grandi difficilmente riusciremmo a sviluppare. Storie da #IISDaVinci #CivitanovaMarche :)

PS: volete conoscere la fine della "storia"?
Dopo un paio d'ore, ispezionato e idratato, l'animale è tornato più che attivo (muovendo le ali e manifestando una certa "volontà" di rimettersi in volo), segno evidente che si era ripreso dal probabile urto. Se avesse avuto danni più seri... sarebbe rimasto immobile e frastornato, come più volte in passato mi è capitato di osservare per questa ed altre specie. Al primo tentativo di 'accompagnamento al volo'... è ripartito senza apparenti problemi, sfrecciando nel cielo come solo i rondoni sanno fare :D Buona vita, Apus!

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sabato, ottobre 01, 2016

Addio agli olmi?

Con l’inizio di ottobre si entra a tutti gli effetti in autunno e le piante caducifoglie iniziano ad indossare “vestiti” giallo-arancioni prima di spogliarsi del tutto, assumendo il tipico habitus invernale. Se vi siete guardati bene attorno, però, da qualche anno a questa parte c’è un albero tipico del nostro paesaggio rurale che già in tarda primavera ingiallisce anzitempo e si secca quando è ancor troppo “giovane” per trasformarsi in necromassa.
Si tratta dell’Olmo campestre (Ulmus minor), pianta sacra per il “dio dei sogni” - Morfeo - secondo quanto viene riportato da Virgilio nell’Eneide, dai buffi semi simili a piccoli dischi volanti che una volta i bambini chiamano “pane del maggiolino”. Diffusa in Europa continentale, Asia mediterranea e America settentrionale, cresce nei boschi e nei terreni incolti, lungo il greto dei ruscelli e in zone tipicamente rurali. Quando si trova isolata, tra campi coltivati e casolari, può raggiungere dimensioni notevoli e avere una chioma decisamente ampia: in passato, contadini e braccianti approfittavano della “meriggia” offerta da esemplari maestosi di questa pianta per rifocillarsi e riposarsi. Su tutti, il famoso “Olmo bello” (o Olmo di Lando, in località Casine di Ostra) ben conosciuto nell’hinterland senigalliese, raffigurato in immagini d’epoca dalle quali non si riesce ad apprezzare i 28 metri d’altezza e i 110 metri di circonferenza della chioma.
Osservando le nostre campagne, specialmente tra le province di Macerata e Ancona, avrete notato in questi ultimi anni la diffusa moria che riguarda questa pianta. L’olmo campestre è una specie tra le più suscettibili alla fitopatia denominata “grafiosi”, malattia è causata da un fungo ascomicete di origine asiatica, Ophiostoma ulmi s.l., che già all’inizio del secolo scorso devastò rapidamente le popolazioni di olmo europee e nordamericane.
Il fungo patogeno agisce entrando in contatto con le piante sane nella porzione superiore della chioma per il tramite di alcuni insetti scolitidi, piccoli coleotteri che compiono il loro ciclo biologico ignari e inconsapevoli di diffondere la malattia volando da olmi malati verso olmi sani.
Dal momento dell’inoculazione si osserva rapidamente la comparsa di foglie gialle e avvizzite su tutta la parte alta della chioma, per poi appassire in poco tempo: lo sviluppo dei sintomi è più intenso nel periodo primaverile che in estate, e colpisce in maniera più forte l’Olmo campestre e meno altre specie, quali l’Olmo montano.
Dopo la prima ondata epidemica, a partire dal 1970-75 la malattia ha avuto nel centro Italia una forte recrudescenza a seguito dell’introduzione di ceppi virulenti dal Nord America, con gravi danni all’economia, all’ambiente e soprattutto al paesaggio caratteristico delle zone rurali e peri-urbane. Oggi, dopo una breve “tregua”, eccoci ancora sul campo a dover contare i danni di questa malattia sempre più aggressiva: nella sola vallata del Tronto, dove recentemente è stata portata a termine una ricerca per una tesi universitaria, è stata registrata la scomparsa quasi totale di esemplari adulti, fatta eccezione per alcuni individui di età superiore ai 50 anni in alcuni comuni montani. E nel maceratese la situazione non è dissimile, purtroppo.
Addio agli olmi, dunque? Non è ancora detto!
I botanici impegnati in programmi di ricerca genetica condotti in alcuni istituti scientifici, tra i quali, in Italia, l’Istituto per la Protezione delle Piante del CNR (IPP), hanno selezionato piante resistenti alla grafiosi. Ad oggi sono cinque i cloni di olmo resistente alla grafiosi che l’IPP ha brevettato, e tra questi segnaliamo il clone ribattezzato “Morfeo”.
Grazie all’utilizzo di varietà resistenti, sia da parte delle amministrazioni pubbliche che dei privati, l’olmo si potrà riappropriare dei propri spazi, inizialmente nei contesti ornamentali e poi in ambienti peri-urbani. Più lungo, secondo i ricercatori, il processo che porterà ad un recupero nel contesto rurale e boschivo: per il momento, dunque, saremo costretti a vedere un progressivo declino di uno dei simboli dell’ambiente di casa nostra.
Ma non dobbiamo restare passivi, perché disinteresse e indifferenza causano danni ancor peggiori di quelli che già registriamo. Quello che nel nostro piccolo possiamo fare, da cittadini attenti alle problematiche ambientali, è, tra le altre cose:
- segnalare agli enti competenti (Assessorato all’Agricoltura e Foreste della Regione - qui nel caso delle Marche - , centri di ricerca come l'ASSAM, Corpo Forestale dello Stato) la diffusione di questa malattia nella propria zona, nell’ottica della “citizen science ”;
- evidenziare alle amministrazioni e ai politici di riferimento la necessità di incentivare la ricerca scientifica in ambito botanico e fitosanitario (per raccogliere e selezionare il germoplasma di esemplari di olmo ancora in vita nei punti più colpiti dalla grafiosi nella nostra regione);
- promuovere, con l’aiuto degli enti di ricerca e di vivai specializzati, una graduale ripiantumazione delle varietà resistenti. C’è ancora molto da fare per cercare di salvare questo imponente albero su cui - secondo il poeta Virgilio - albergano i sogni dell’umanità, appesi sotto alle sue fronde.

Bibliografia essenziale di approfondimento

Biondi E. & Baldoni M.A., 1996. Natura in provincia di Ancona. Guida alla conoscenza e alla conservazione del territorio. Provincia di Ancona, Assessorato all’Ambiente.

Pascali G., 2010. Monitoraggio sulla diffusione della grafiosi dell'olmo nella vallata del Tronto (AP). Università degli Studi di Firenze, corso di Laurea in Scienze Forestali e Ambientali.

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mercoledì, aprile 08, 2015

Di balestrucci, rondini, topini & rondoni

Questa mattina, nell'area verde di fronte al laboratorio di Scienze del liceo dove insegno, abbiamo rinvenuto il corpicino (purtroppo) esanime di un giovane balestruccio.
In effetti proprio stamane un primo piccolo contingente di questi simpatici e ciarlieri passeriformi si è fatto notare per i voli acrobatici tra giardino e plesso scolastico.
Insettivoro, appena una quindicina di grammi di peso, il balestruccio è un "cugino" della rondine e, come molte altre specie migratrici, affronta ogni anno due viaggi di ben 4.000 / 6.000 km (...e scusate se è poco!). Da alcuni anni le popolazioni rondini, rondoni, topini e balestrucci sono - complice l'uomo e le sue attività - in lenta ma progressiva rarefazione (in alcuni casi con perdite fino al 30%). Eccovi un recente articolo che tratta di questa problematica.

Probabilmente un mix di fattori (lo sforzo derivante dalla migrazione, le basse temperature dei giorni scorsi, la scarsità di prede e lo stato di salute complessivo) ha determinato la sorte di questo esemplare civitanovese. Che alla fine è diventato occasione, spunto e.... "attore suo malgrado" per parlare in alcune classi di balestrucci & co.
Tutti possiamo, nel nostro piccolo, aiutare questi preziosi "insetticidi naturali": la Lipu, ad esempio, invita a partecipare al censimento annuale dei nidi di balestrucci e rondini. Come fare? Eccovi il link.
E buone osservazioni!

PS: molti si lamentano dello "sporco" che questi animalì possono fare attorno al proprio nido. Si tratta, in verità, di deiezioni che possono essere usate quale ottimo concime per fertilizzare le piante ornamentali. E' sufficiente apporre sotto al nido una tavoletta di legno (si può fissare alla parete ad un altezza ritenuta comoda per la gestione delle deiezioni) e pulirla di tanto in tanto. Semplice no? E se venite a conoscenza di persone intente a distruggere i nidi di queste specie, segnalatelo alle Autorità competenti (Corpo Forestale, Polizia Provinciale, guardie ecologiche, ecc.) perché si tratta di un'azione punita per legge dello Stato (la n. 157 del 1992).

La foto del balestruccio che accompagna questo post è stata presa a solo scopo illustrativo dal web

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mercoledì, luglio 23, 2014

Andare in montagna significa lasciare a casa le proprie certezze (…quelle poche che abbiamo!), per iniziare un duro, aspro e quasi sempre rinvigorente confronto con la natura, con noi stessi e con i nostri limiti (reali e non).
La montagna seleziona nel tempo specie animali e vegetali adatte ad ambienti estremi, dopve le condizioni possono mutare improvvisamente.
La montagna allena il fisico e anche la mente: pensare dove mettere il piede mentre si scende un pendio roccioso, valutare quale via di risalita sia la migliore, contemplare il paesaggio mozzafiato, affrontare eventi inattesi ed inaspettati che richiedono risposte efficienti in tempi rapidi.
Per la montagna servono competenze che si acquisiscono soprattutto con l’esperienza, utile per avvicinare e, a volte, superare i propri limiti e le difficoltà improvvise (nebbia, neve accumulatasi sul sentiero, perdita dell’orientamento, piccoli infortuni, fame, sete…).
Saper leggere una carta topografica, riconoscere un frutto edule, scegliere l’itinerario in base alle proprie condizioni fisiche e alla situazione meteorologica, saper rinunciare (…per poi tornare alla carica la volta seguente) arricchiscono il bagaglio culturale e spirituale di ciascuno di noi.
La montagna “chiama”, insegna e sa farsi rispettare. Lo sanno bene, da molto tempo prima di alpinisti ed escursionisti, i “montanari” (nativi e… di ritorno), il cui lavoro quotidiano è segnato dalla fatica, dalla conoscenza empirica e dal silenzioso rispetto per una natura… “amica ostile”.
Anche per questo è necessario che la montagna resti tale, senza troppe infrastrutture impattanti (impianti eolici, strade, nuove sciovie, ecc.) e libera dagli orpelli della società del (finto) benessere.
O no?

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giovedì, giugno 14, 2012

Un sabato pieno di... camosci nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini!

Il 16 giugno sarà un sabato speciale per la comunità di Fiastra, splendido paesino medioevale arroccato al cospetto delle principali vette dei Monti Sibillini, e dei territori limitrofi. Verrà infatti inaugurato ufficialmente il "Museo del Camoscio appenninico" nei locali del Centro di Educazione Ambientale "Alta Valle del Fiastrone" gestito dalla società Alcina. Si tratta di una delle fasi previste nel progetto Life "Co-Ornata" relativo alla reintroduzione benigna nel territorio del Parco nazionale di quello che viene definito "il più bel camoscio del mondo" (che, come contraltare, può anche "vantare" di essere una delle specie a rischio di estinzione nel mondo, essendo presente con un migliaio di esemplari concentrati tra Abruzzo e - dal 2008 - Marche) La prima parte dell'evento (con i saluti delle Autorità e gli interventi dei responsabili del progetto) si terrà nella sala consiliare del comune di Fiastra, mentre il "taglio del nastro" avverrà presso i locali appositamente allestiti presso il CEA: si tratta di quattro ambienti collegati tra loro in modo da percorrere un tragitto didattico ad anello che andrà a svelare caratteristiche eco-etologiche e l'ambiente di vita del camoscio. Dopo la realizzazione dell'area faunistica di Bolognola, dove è più facile osservare in natura il Camoscio appenninico (si tratta di un'area recintata che funge da "ambientamento" per qualche tempo e/o da vero e proprio ambiente di vita per alcuni esemplari), e le prime emozionanti operazioni di reintroduzione nel territorio del comune di Ussita(con individui provenienti in particolare dal Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise), con questa iniziativa didattico-divulgativa si completa una delle fasi dell'ambizioso progetto LIFE. La piccola neo-colonia di camosci - monitorata con attenzione dagli zoologi che collaborano con il Parco - sta già attirando l'attenzione di turisti, escursionisti e ricercatori, facendo ben sperare anche per l'indotto economico che una simile operazione produce sul e per il territorio. Ora sta agli operatori economici locali cogliere questa nuova, preziosa opportunità che l'Ente Parco (e... madre Natura) ha lanciato. E' stata anche creata una pagina specifica tra i "gruppi" di un noto social network e vengono organizzate specifiche escursioni da guide professionali autorizzate dal Parco (come, ad esempio, nel caso delle guide "quattropassi") e/o iscritte all'albo (come nel caso dell'amico e collega biologo Simone Gatto). Data l'importanza della specie e la delicatezza del progetto, ancora per qualche tempo gli zoologi e i tecnici del Parco chiedono prudenza e massima attenzione ad escursionisti e turisti, così da evitare di arrecare disturbo agli esemplari eventualmente osservati. Per ulteriori informazioni sui camosci dei Sibillini basta collegarsi alla specifica sezione del sito web del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Insomma, non resta che dire... BENTORNATO CAMOSCIO!!!

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